Sui referendum online il bello deve ancora venire

“Non ho assolutamente messo in discussione l’istituto referendario” ha dichiarato Massimo Cacciari a Radio Radicale tornando sul suo editoriale per l’Espresso giorni fa “ma la situazione generale in cui oggi si colloca la pratica di questo istituto”. Secondo l’ex Sindaco di Venezia la situazione generale sarebbe quella dell’avvento della firma digitale che gli aveva fatto scrivere “Coi clic Ferragni ne potrebbe indire 500 al giorno”.

Da anni si parla di e-government, cioè della possibilità di poter interagire online con la pubblica amministrazione, cosa buona e giusta ma sicuramente una utilizzazione marginale degli strumenti telematici rispetto a quanto necessario per una strutturale transizione verso una democrazia digitale o OnLife, come direbbe Luciano Floridi.

L’Onlife un neologismo coniato per  l’esperienza in cui “non si distingue più tra online o offline” e dove “non è più ragionevole chiedersi se si è online o offline”. Nell’Online Manifesto coodinato da Floridi si premette che “[…] siamo probabilmente l’ultima generazione a sperimentare una chiara differenza tra offline e online […] le dicotomie scontate come quelle fra reale e digitale o umano e macchina non sono più sostenibili in maniera nitida”. La firma digitale ci dice, o dovrebbe dire, che l’Italia è entrata politicamente nell’OnLife relativamente all’attivazione dell’articolo 75 della Costituzione. Questa è la vera novità su cui riflettere. Ma torniamo al referendum facilmente indicibile.

Chiara Ferragni, una influencer con oltre 25 milioni di follower sui social (non necessariamente con diritto di voto in Italia), potrebbe, eventualmente (e secondo me anche sperabilmente) presentare in Cassazione proposte di referendum per lanciare una raccolta firme che, ove mai raggiungessero le 500.000 sottoscrizioni necessarie andrebbero accoppiate con altrettanti certificati di iscrizione nelle liste elettorali per depositare il tutto alla Suprema Corte per un controllo entro 90 giorni dal lancio della raccolta. Il quesito dovrebbe poi passare il vaglio della Corte Costituzionale.

Per scrivere un referendum occorrono conoscenze specifiche relative alle norme che si vogliono eliminare e competenze tecniche per un ritaglio che non sia manipolativo di leggi la cui abrogabilità è consentita dalla Costituzione. Altrettante competenze e conoscenze devono essere poi attivate per presentare alla Consulta delle memorie a sostegno dei quesiti. Ferragni sicuramente saprebbe mettere in campo tutto ciò ma cliccare non basta.

Anche alle più’ attente analisi di quanto in atto è sfuggito un elemento che, per certi versi, “aggrava” il potenziale diluvio referendario. I costi che l’Associazione Luca Coscioni si è assunta per consentire la sottoscrizione online di queste settimane dall’anno prossimo non ci saranno più. L’emendamento di Riccardo Magi, sottoscritto da tutti i gruppi (e adottato col parere contrario del Governo!) ha previsto la possibilità di anticipare l’entrata in vigore di una norma prevista per il 1 gennaio del 2022.

La proposta dava seguito a un accordo informale raggiunto con il Ministro Vittorio Colao per cui, in assenza di una piattaforma dello Stato, i promotori del referendum si sarebbero adoperati per trovarne una. Avendo per anni denunciato gli “irragionevoli ostacoli” frapposti alla agibilità democratica in italia, i promotori dei referendum eutansia e cannabis avevano avviato da tempo contatti con un service provider per rendere possibile la sottoscrizione online.

Grazie alla disponibilità, e sensibilità civica, di Gianni Sandrucci, AD di ItAgile, una società specializzata nella fornitura di soluzioni informatiche per il documento digitale, l’emendamento è divenato immediatamente applicabile e dal 12 agosto è partita la raccolta firme online per l’eutanasia legale. Con dei costi fissi.

Ogni firma online costa 0.40 di autenticazione SPID, 0.20 per il certificato qualificato, 0.20 gestione del documento firmato – incluso invio PEC per certificato elettorale – e 0.5 per la marca temporale qualificata piu’ IVA al 22% – totale 1.05 Euro.

Alla necessaria, ma non sufficiente, raccolta di sottoscrizioni vanno poi accoppiati i certificati di iscrizione nelle liste elettorali di chi ha firmato. Il tutto sempre online solo via PEC. Il ritardo, o divario, digitale della pubblica amministrazione che difficilmente risponde nelle 48 ore previste dalla legge inviando quel che viene richiesto e non quello che solitamente mette a disposizione della cittadinanza rende tutto ancora Novecentesco.

Questa la SPID democracy a ottobre 2021. Da gennaio 2022 dovrebbe essere pronta una piattaforma gratuita che interpellerà direttamente una banca dati nazionale coi numeri dell’iscrizione nelle liste elettorali di chi firma.

Allora si che, a chi sarà consentito di poter raggiungere ampie fette di popolazione in un modo o nell’altro, il numero dei quesiti potrà aumentare.

Ma intanto godiamoci questa vittoria!