Non è possibile occuparsi di diritti civili in Italia senza occuparsi del (cattivo) funzionamento della democrazia.
Le nostre libertà non possono essere soltanto evocate all’interno di logiche di posizione – di partito, di schieramento – ma vanno difese nel concreto, declinate e affermate nella pratica. Tutto ciò è possibile solo quando la democrazia vive, agevola la partecipazione, è alimentata da una classe politica che non ha paura delle libertà dei cittadini che esercitano la sovranità popolare nelle forme e nei limiti della Costituzione: una classe politica che trae forza dalla condivisione, dal coinvolgimento, dalla partecipazione di coloro ai quali chiede fiducia al momento del voto.
Con gli strumenti che abbiamo, con le persone che hanno dato corpo ai loro diritti e ai loro bisogni di vita, in questi vent’anni dalla costituzione dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, abbiamo lavorato affinché vi fosse una quotidiana dichiarazione di diritti che si oppone alla violenza proibizionista da Stato etico e alla pretesa di far decidere tutto solo dal profitto o in base alle disponibilità economiche. Mettiamo al centro la dignità delle persone, facciamo emergere la libertà come diritto individuale e anche come bene comune, guardiamo a un futuro dove la tecnoscienza sta costruendo una diversa immagine della persona umana ed è dunque fondamentale che sia costruita con metodo democratico.
La nostra Costituzione nasce dal lavoro di una commissione di 75 saggi e, dopo il voto dell’Assemblea costituente, entrò in vigore il primo gennaio 1948. Il lavoro condotto in questi vent’anni dall’Associazione ha fatto vivere i fondamenti della nostra Carta costituzionale con una interpretazione che è al passo dei tempi che cambiano. Abbiamo fatto emergere una nuova idea di cittadinanza, di un patrimonio di diritti che accompagna la persona in ogni momento di vita, dall’inizio alla fine.
Rileggere i principi costituzionali è fondamentale per cogliere la connessione tra democrazia e libertà: gli articoli 1, 2, 3, 13, 21, 48, 49, 51, 56, 57 e 58 e 117 della nostra Costituzione infatti riconoscono e garantiscono i diritti inviolabili della persona umana, in tutte le sue declinazioni, affermandone la pari dignità sociale e giuridica. La Costituzione prevede anche che sia compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Il diritto alla partecipazione alla vita politica è garantito anche attraverso il diritto alla manifestazione del pensiero e al voto. Il diritto di voto non può essere limitato se non per i casi indicati dalla legge. Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. L’elezione di ciascuna delle Camere avviene a suffragio universale e diretto.
Non solo. La Carta Europea dei Diritti dell’Uomo riconosce il diritto di voto (articolo 3 del primo Protocollo alla CEDU) come cardine per due diritti che sono la doppia faccia della stessa medaglia: il diritto di votare e quello di competere per essere eletti.
Questo è il parallelismo dell’elettorato attivo e dell’elettorato passivo, che nella dottrina costituzionale italiana è fatto risalire a due diverse norme: l’articolo 48 (diritto di voto) e l’articolo 51 (accesso alle cariche elettive) della Costituzione.
Vivere in un paese dove le nostre libertà sono inviolabili e garantite da una Carta fondante significa vivere in un paese democratico.
Ma c’è qualcosa che rompe questo schema di garanzie, di esercizio di libertà di diritti ma anche di responsabilità. Cosa? Gli ostacoli che in alcuni casi si trasformano in una vera e propria impossibilità di poter partecipare pienamente alla vita politica del nostro Paese.
Un esempio concreto: manca di fatto la possibilità di votare un partito che non abbia già una rappresentanza in Parlamento, perché quel partito non parte dallo stesso punto di partenza degli altri che hanno un beneficio che si chiama esenzione dalla raccolta firme. Chi non ha già una rappresentanza in Parlamento dovrà raccogliere in breve tempo le firme su liste già completate, le firme in modalità cartacea prevedono tempi più lunghi e maggiori risorse in un’epoca in cui la tecnologia consente l’utilizzo della firma digitale che può essere già usata per numerosi atti importanti. Mentre gli altri partiti, quelli esentati perché hanno già degli eletti, avranno più tempo per comporre le liste con i candidati e per fare anche accordi politici.
Denunciare tale discriminazione non significa chiedere sconti o voler violare il principio alla base della raccolta firme, che ha l’obiettivo di verificare il sostegno popolare. Ma tale verifica deve essere praticabile in condizioni di uguaglianza.
Il legislatore nel 2017 ha individuato la necessità dell’introduzione delle sottoscrizioni digitali come strumento necessario del procedimento elettorale, proprio per contribuire a rimuovere gli ostacoli alla partecipazione politica dei cittadini, e ha emanato la legge 165 che all’articolo 3 comma 7 ha conferito una delega al Governo, stabilendo che “entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, […] sono definite le modalità per consentire in via sperimentale la raccolta con modalità digitale delle sottoscrizioni necessarie per la presentazione delle candidature e delle liste in occasione di consultazioni elettorali, anche attraverso l’utilizzo della firma digitale e della firma elettronica qualificata”.
Ma la delega non è mai stata esercitata. Pertanto è stata violata la legge del nostro Paese che prevede che il Governo debba emanare un atto idoneo ad attivare tale principio normativo, come abbiamo richiesto nella lettera inviata il 25 luglio scorso al Presidente del Consiglio Mario Draghi da me firmata con Virginia Fiume, Marco Perduca e Marco Cappato. Il 30 agosto la richiesta è stata reiterata al Ministro degli Interni. Nessuna risposta.
È trascorso poco tempo da quando, proprio a seguito dell’intervento del Comitato diritti umani ONU (caso Staderini-De Lucia v/Italia), è stata evidenziata l’esigenza di semplificare la procedura di raccolta, autenticazione e certificazione delle firme per garantire la partecipazione popolare alla vita del paese. Solo un anno fa la firma digitale qualificata era stata riconosciuta come idonea: infatti il Parlamento approvò l’articolo 38 bis della legge 108 del 2021, introducendo misure di semplificazione per la raccolta di firme digitali tramite una piattaforma per la raccolta delle firme degli elettori per indire i referendum, nonché per le proposte di legge di iniziativa popolare. Firma apposta mediante la modalità prevista dal codice dell’amministrazione digitale. Nel 2021 sono state raccolte e depositate circa un milione di firme con SPID, firme ritenute dall’ufficio Referendum della Cassazione valide per indire un referendum.
Il pieno rispetto dei diritti civili e politici, grazie alla transizione digitale e per adempiere agli obblighi internazionali relativi al godimento del progresso scientifico e delle sue applicazioni, oggi passano da un Decreto che dovrebbe riconoscere finalmente la validità alle firme raccolte con SPID, oggi e per il futuro, e riammettere alla competizione elettorale le liste escluse come la lista “Democrazia e Diritti con Cappato”. Escluse non perché non hanno raccolte le firme necessarie e verificato l’interesse dei cittadini alla presentazione di quella lista, ma perché il Governo dal 2017 ha dimenticato di emanare un atto previsto per legge che dia validità alle firme raccolte con SPID. questa omissione è a danno di chi ha firmato e che manifesta il bisogno di esercizio di diritti e di diritto per garantire che la nostra democrazia viva per noi e per le generazioni future.
Il Governo ha violato la Carta costituzionale che è tenuto a osservare, perché la battaglia per la raccolta digitale delle firme è in realtà una battaglia per garantire la partecipazione al processo elettorale così come previsto dalle Carte fondamentali.
Abbiamo il dovere di non arrenderci, di proseguire in tutte le forme legali affinché i diritti di noi tutti siano affermati, perché i nostri nonni hanno già conosciuto cosa ha determinato vivere nella restrizione delle libertà. Noi no, abbiamo goduto di diritti fondamentali, che si sono però costantemente erosi e deteriorati, mettendo in pericolo l’assetto complessivo. Perché l’ordinamento democratico dello Stato è un elemento fondamentale ma non è sufficiente a fondare una democrazia compiuta senza un’effettiva partecipazione popolare.
Le democrazie imposte dall’alto si svuotano e diventano democrazie di facciata o si disintegrano e si trasformano in dittature e oligarchie.
Articolo originariamente comparso su Il Riformista del 17-09-2022
Filomena Gallo è Segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni. Avvocata cassazionista è esperta in diritto di famiglia, diritto internazionale e in problematiche legislative nelle biotecnologie in campo umano. Docente a contratto presso l’Università di Teramo, ha seguito la maggior parte dei procedimenti legali che hanno portato agli interventi della Corte Costituzionale con dichiarazione di incostituzionalità della legge 40/04.