Quattro matite

Antonio Rocco, Michele Morello e Carmine Ricci. Chi erano costoro? Erano i componenti la Sezione di Corte di Appello di Napoli che si occupò negli anni ottanta di un procedimento a carico di imputati per associazione a delinquere di stampo camorristico. Si trattava di un processo molto complicato, con centinaia di imputati. Non avevano a disposizione mezzi informatici (al tempo praticamente non esistevano nei tribunali). Usarono matite, pare quattro matite di diverso colore, con cui si misero a spulciare posizione per posizione, faldone per faldone, passandoci sovente le nottate, alla verifica della coerenza ed affidabilità delle prove che avevano portato ad inchiodare gli imputati in primo grado, con pene severe.

I punti deboli dell’impianto accusatorio venivano segnati con colore diverso, a seconda del tipo e della inconsistenza. Alla fine, l’intero impianto accusatorio crollò, sotto il peso di 574 pagine riempite dell’accuratezza ed indipendenza di giudizio di quegli uomini.

Il mestiere del giudice ha delle affinità con quello del ricercatore: ambedue necessitano di curiosità, pazienza ed anche di sapersi osservare.

Un mio maestro dal carattere impossibile ma grande scienziato era solito ripetere: “vérifier, vérifier, toujours vérifier”. 114 imputati, alcuni dei quali probabilmente camorristi per davvero ma per i quali non vi era prova che avessero commesso i reati addebitati in quello specifico procedimento, vennero assolti per non aver commesso quei fatti. Uno di essi, che non ne aveva commesso alcuno, si chiamava Enzo Tortora. Dopo 33 anni, ancora la Magistratura può autocorreggersi restando una garanzia per tutti solo se realmente indipendente, cioè con la testa sgombra da timori e speranze.