Proibire l’Ayahuasca non è servito. Anzi…

Ayahuasca

Il 30 giugno ha fatto molto parlare la morte di Alex Marangon, un giovane trovato morto su un isolotto del fiume Piave a Ciano del Montello nella provincia di Treviso a 48 ore dalla sua scomparsa. Il clamore della tragedia è stato enfatizzato, e continua a esserlo, dal fatto che il ragazzo aveva partecipato a un ritiro all’Abbazia di Santa Bona di Vidor dove si tengono incontri di meditazione accompagnata da musica e, dicono gli amici, l’ausilio di tisane e decotti. Tra questi, pare, l’Ayahuasca.

L’ayahuasca è una bevanda psicoattiva originaria dei bacini dell’Amazzonia e dell’Orinoco utilizzata dalle culture indigene e da guaritori popolari in cerimonie spirituali, di divinazione e/o guarigione. La bevanda psichedelica si prepara con diverse piante amazzoniche e, grazie alla dimetiltriptamina (DMT) presente naturalmente nelle piante impiegate per il decotto, è in grado di indurre effetti visionari oltre che purganti. Tradizionalmente viene somministrata in cerimonie a cui si partecipa sapendo cosa accade e in cui è presente una guida che ne accompagna l’assunzione. 

Negli anni l’Ayahuasca è arrivata anche negli Stati Unite e in Europa raccogliendo un seguito significativo; come tutti i fenomeni che diventano popolari, spesso loro malgrado, la notorietà fa sì che i rischi di entrare in contatto con chi ne cancella la parte spirituale, facendone motivo di “moda” e/o guadagno, aumentino.

Senza un particolare collegamento a un fatto specifico, il 14 marzo 2022 il Governo Draghi ha pubblicato in Gazzetta Ufficiale un decreto ministeriale che inseriva nella tabella I delle sostanze stupefacenti del Testo Unico sulle droghe del 1990 la Banisteriopsis caapi e la Psychotria viridis, le piante da cui si estraggono i principi attivi (armalina, armina e DMT) che si trovano nell’Ayahuasca. Conseguentemente anche il decotto è rientrato tra le sostanze da proibire.

La decisione dell’allora ministro della salute Roberto Speranza non faceva alcuna menzione delle Convenzioni delle Nazioni unite in materia di sostanze psicotrope e narcotiche, si “limitava” a ricordare che l’Ayahuasca sarebbe stata tabellata in Francia nel 2005 accennando genericamente a considerazioni “estrapolate dalla letteratura internazionale”. 

La decisione del Governo Draghi fu impugnata davanti al TAR del Lazio dalla Chiesa Italiana del Culto Eclettico della Fluente Luce Universale, che professa la fede e la carità cristiana basata sulla dottrina del “Santo Daime”. La vicenda arrivò fino al Consiglio di Stato anche perché, tra le varie cose, il decreto ministeriale non allegava studi o meta-analisi che corroborassero la decisione di proibire tanto le piante quanto il decotto per motivi per cui tale decisioni sono previste dalla legge italiana sulle droghe (309/90): pericolo per la salute e sicurezza pubbliche. 

Nel decreto si leggeva di “cinque segnalazioni di sequestri nel periodo dicembre 2019 – novembre 2021 ricevute da parte dell’Unità di coordinamento del Sistema nazionale di allerta precoce del Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri”, nonché di “due casi di intossicazione correlati all’assunzione di armina (2011 e 2018) segnalati dal Centro antiveleni di Pavia”. Proprio così: in 10 anni cinque segnalazioni e due intossicazione correlate!

Anche volendo, Ministero, Istituto e Consiglio Superiore di Sanità non sarebbero riusciti a trovare studi che giustificassero la necessità di ampliare la tabellazione della DMT alle piante necessarie per ottenerla. Nei suoi ricorsi il “Santo Daime”, che impiegava l’Ayahuasca in cerimonie dedicate ai propri adepti, ha sempre allegato ampia documentazione, quella scientifica preparata dalla ricercatrice Michele Barocchi che, semmai, dimostrava il contrario. Delle centinaia di studi recuperate su PubMed solo una minima parte metteva in guardia dagli effetti avversi, presenti peraltro in qualsiasi tipo di sostanza (anche bere troppa acqua la fa vomitare), mentre la maggioranza ne riconosceva il potenziale terapeutico.

La genericità, tanto quanto il sensazionalismo, sono due ingredienti che spesso vengono utilizzati quando si parla di molecole psicoattive e stati non ordinari di coscienza; nel caso, in verità rarissimo, in cui si verifica la morte di qualcuno, le mistificazioni e strumentalizzazioni prendono il sopravvento sui fatti. Esempio di scuola il famigerato «rave di Valentano» dell’agosto del 2021 manipolato talmente bene, come raccontò per Esquire Federico di Vita, che gettò le basi per la proibizione dei raduni musicali a cielo aperto – primo decreto del Governo Meloni a ottobre del 2022. Se all’epoca del Teknival si inventarono “scenari horror” che purtroppo portarono alla morte di un ragazzo, nel caso di Marangon si parla di “sette sataniche” e “droga degli sciamani”. L’autopsia ci fornirà qualche elemento in più per capire di cosa sia morto il povero Marangon.

Malgrado il permanere di proibizioni diffuse e punizioni severe, le molecole psicoattive accompagnano la quotidianità di milioni di persone in Italia e nel mondo. La denegata libertà di scelta relativa a cosa, come, dove e con chi assumerle ne aumenta i rischi diretti e collaterali e ne ostacola o inibisce gli impieghi terapeutici o di benessere psico-fisico che le hanno rese così popolarli anche in zone del mondo che le hanno scoperte recentemente. 

Siamo reduci dal 26 giugno, la giornata mondiale contro la dipendenza da stupefacenti e la lotta al narcotraffico – presentata dal Governo Meloni come “giornata contro le droghe” – dove, a parte le solite banalità sulla prevenzione, è stato chiarito che l’uso, anche se non problematico – quello che nei documenti ufficiali viene sempre definito come “abuso” – deve esser curato con un passaggio coatto in comunità. E poco importa se si tratta di centri dove non si applicano protocolli convalidati a livello internazionale e ancora meno se facciano parte del parastato “anti-satanista” intitolate a un Papa “buono”.

Continuare a vietare, a prescindere, la facoltà di poter decidere per sé (anche in materia di spiritualità) va nella direzione diametralmente opposta alla diffusa necessità (solo in Italia si parla di milioni di persone) di consentire spazi che sulla base di condivisioni trasparenti di conoscenze ed esperienze consentano scelte consapevoli che riguardano anche molecole psicoattive o allucinogene. La proibizione anti-scientifica dell’Ayahuasca, come quella pseudo-securitaria dei “rave”, non ha cancellato i fenomeni che vieta, li ha solo resi clandestini. I margini per informare, magari anche in funzione preventiva, su ciò che è vietato sono pressoché inesistenti, ce lo insegna la lunga storia della criminalizzazione della coltivazione, uso e scambio della piante e molecole al centro delle tre Convenzioni delle Nazioni unite in materia di sostanze stupefacenti, non tenerne di conto è sempre più criminogeno.