Per “riaprire” serve più democrazia

Prima o poi si deciderà di “riaprire”, ma nulla sappiamo di come quella scelta sarà presa. Il Parlamento non è stato investito della questione, nemmeno a titolo informativo. “Ci confronteremo con il Comitato tecnico scientifico”, ha dichiarato il Presidente del Consiglio. Nulla è ancora dato di sapere su come tale confronto avverrà, se ci sarà una relazione tecnica, se sarà pubblicata o trasmessa alle Camere in qualche forma.

Prima delle sedute di Camera e Senato del 25-26 marzo sembrava che le opposizioni volessero dar battaglia per rivendicare la “centralità del Parlamento”. Di quella battaglia non è rimasta traccia, evidentemente resa per loro superflua dall’istituzione della fantomatica “cabina di regia”, cioè di una riunione informale a porte chiuse con i capigruppo dei partiti, organizzata proprio per garantire il coinvolgimento delle opposizioni.

Alla base della marginalizzazione del Parlamento ci sono due macroscopici errori di valutazione, non importa quanto volontari, ma del tutto trasversali. Il primo: ritenere che le decisioni da prendere ora siano esclusivamente emergenziali e di natura tecnico-gestionale, e non di natura pienamente politica. Il secondo, ritenere che il consenso alle misure da intraprendere si debba costruire più che altro tra i capi dei partiti, e non innanzitutto davanti ai cittadini seguendo le forme della rappresentanza stabilite dalla Costituzione.

Il risultato è davanti a noi: l’informazione quotidiana si basa sul bollettino giornaliero di contagiati, guariti e morti, sebbene siano gli stessi esperti ad informarci di quanto quei dati siano parziali e spesso fuorvianti, perché pesantemente sottostimati. Il dibattito che ne segue si esaurisce nella rincorsa tra Governo e Regioni a “chiudere tutto”, tra Governo e opposizioni a promettere soldi esibendosi sui social, e nel rimpallo delle responsabilità per ciò che non sta funzionando, a partire dal fallimento delle misure di sicurezza (mascherine, tamponi, alloggi protetti quando necessario) per il personale medico infermieristico.

In questo contesto, avanzare proposte sul come e il quando di eventuali riaperture diventa, più che sbagliato, azzardato.

Un Parlamento degno di questo nome -non una cabina di regia segreta- dovrebbe innanzitutto discutere di questo: quale è la situazione e quali sono le previsioni sulla messa in sicurezza del sistema sanitario; quali sono gli effetti e le previsioni sulle misure di contenimento; quali sono le simulazioni per una possibili e riapertura, cioè: per quali soggetti, quali settori economici, con quali criteri di misurazione e controllo degli effetti sanitari ed economici per eventuali correzioni di tiro.

Non sono questioni solo “tecniche”. Deve essere tecnica la produzione e l’analisi dei dati e le simulazioni per il futuro. Ma è solo ed esclusivamente politica la decisione sul grado di rischio che si è disposti ad assumere, e si tratta di un rischio che sia il Governo che le opposizioni si debbono assumere in un solo modo: pubblicamente, davanti al Paese, nelle forme e nei modi previsti dalla Costituzione. 

Sono in molti a scegliere la suggestiva evocazione della “guerra”, come se nel nome di quella parola tutto fosse permesso. Come però ha fatto notare il costituzionalista Giulio Enea Vigevani all’incontro pubblico virtuale dell’Associazione Luca Coscioni su “Coronavirus Scienza e Diritti”, persino per la dichiarazione di guerra il Parlamento non affida al Governo “i pieni poteri” -come pure già vogliono ottenere gli Orbàn in giro per il mondo- ma i “poteri necessari” (art. 78 Costituzione).

Un problema analogo investe le istituzioni europee. Migliaia di cittadini, con la petizione “EU can do it”, hanno chiesto al  Parlamento misure urgenti e riforme strutturali per far fronte alla crisi, incluso il sostegno a forme di condivisione del debito derivante dagli investimenti straordinari necessari. Il Parlamento europeo deciderà il 2 aprile se convocarsi per questo mese o rinviare la seduta plenaria a maggio. Nel frattempo, le uniche riunioni -quelle dei rappresentanti degli Stati nazionali in seno al Consiglio- continuano ad avvenire a porte chiuse.

Sta prendendo piede l’idea che in tempo di emergenza il confronto democratico -e quindi i Parlamenti e gli strumenti di partecipazione civica- siano un ingombro. In controtendenza, l’Iinziativa dei Cittadini Europei “www.formyrights.eu”, con la quale si propone di creare un meccanismo di valutazione permanente dello Stato di diritto in Europa, per prevenire nel futuro i “casi Orbàn”.

Non aspettiamo che sia troppo tardi per accorgerci che invece sono indispensabili a creare quella consapevolezza generale e coesione sociale che tutti a parole invocano.