Non c’è pace senza giustezza (di analisi e proposte)

Episodio 2

Malgrado la fama internazionale sia purtroppo quella di una “delinquente abituale”, la Repubblica italiana continua a vantarsi d’essere la culla, se non la patria, del diritto. Non basta essere in vetta alla classifica delle infrazioni comunitarie o delle sentenze della Corte europea dei diritti umani, né doversi confrontare ogni quattro anni con le quasi 200 raccomandazioni del Consiglio Onu sui diritti umani che invitano l’Italia a modificare norme e politiche in materia di diritti civili, politici, economici, sociali e culturali, no, la politica e i giuristi nostrani non perdono occasione di esordire nei loro interventi ricordando l’importanza storica del diritto romano e la sua onnicomprensività.

Questo iato tra retorica e dati di fatto – basterebbe confrontare i numeri della capienza regolamentare dei detenuti con le effettive presenze in carcere per avere il sospetto che qualcosa non vada nell’amministrazione della giustizia in Italia – conferma che questioni centrali alla vita istituzionale di uno stato membro delle Nazioni unite che hanno a che fare col rispetto dei diritti umani non sono centrali al dibattito pubblico e politico italiano. 

Sicuramente si tratta di questioni complesse, ma non occorre particolare competenza per rendersi conto che senza una giustizia giusta, che preveda pochi reati, il giudizio di un’entità terza, tempi certi (se non brevi) per le sentenze e l’accesso a una difesa efficace indipendentemente da censo e nazionalità – non solo non si conquista la “pace sociale” o rispettano i diritti civili, ma quando si sarà chiamati a interessarci a crimini internazionali o non si saprà cosa dire oppure non si avrà la reputazione per poter pretendere la fine dell’impunità altrui…

Non è quindi un caso se nel dibattito pubblico che a reti unificate commenta la guerra di Putin contro l’Ucraina non si è dedicato un minuto a cosa prevedere lo Stato di Diritto internazionale in caso di conflitti armati e quali siano, già oggi, i ricorsi possibili a una giurisdizione sovranazionale competente per quanto sta accadendo nel “cuore dell’Europa”.

Malgrado le sue pecche, e solo perché i Radicali ne fecero oggetto di mobilitazione globale, nell’estate del 1998 l’Italia ospitò la conferenza diplomatica per adottare lo Statuto della Corte Penale Internazionale (CPI). La nuova istituzione era dedicata a crimini di guerra, genocidio e crimiini contro l’umanità, una giurisdizione complementrae a quelle nazionali, e sarebbe stata competente relativamente a fatti o persone appartenenti a chi ratificava il Trattato. Allo stesso tempo poteva esser interessata – o bloccata – dal Consiglio di Sicurezza nel caso in cui le indagini avessero messo in pericolo la “pace e la sicurezza internazionali”. Gli appelli alla creazione della Corte sono vecchi quanto le Nazioni unite ma se il dibattito non fosse mai arrivato in Assemblea Generale per fissare la data della Conferenza di Roma saremmo ancora lì a cercare il pelo nell’uovo dietro centinaia di emendamenti per rendere lo Statuto un modello di perfezione e non di bilanciamento di tradizione giuridiche molto differenti tra loro. 

Come previsto dal trattato, in occasione della prima conferenza di revisione del documento tenutasi a Kampala nel 2010, la giurisdizione della Corte è stata estesa anche al crimine di aggressione.

Fin dall’inizio dell’invasione procuratore della CPI, Karim Khan, è riuscito ad ottenere il mandato da 41 stati parte del Trattato di Roma per iniziare ad acquisire informazioni per documentare le violazioni del diritto umanitario internazionale (le regole della guerra) in Ucraina.

Non ci sono dubbi circa la dinamica dell’inizio della guerra e i suoi “motivi”, documentare come questa venga portata avanti può contribuire a poter assicurare alla giustizia internazionale chi l’ha decretata e chi la sta organizzando sul campo. Anche a conflitto in corso e grazie alle testimonianze di chi scappa – ma anche della stampa o ONG presenti in loco in questi giorni – occorre ricostruire la catena di comando e le responsabilità politiche. Anche se è chiaro che l’ordine sia venuto da Vladimir Putin in persona il modo con cui poi questo sia stato eseguito è in capo ai vari ufficiali coinvolti. Prima che il Tribunale per la ex-Jugoslavia arrivasse a processare Milosevic altri ufficiali furono arrestati e accusati di crimini terribili.

Khan ha incontrato di persona in Ucraina Dmytro Kuleba, Ministro degli Affari Esteri e Iryna Venediktova, Procuratrice Generale dell’Ucraina e virtualmente anche il Presidente Zelensky. Quanto necessario per “ampliare la collaborazione con tutte le autorità nazionali competenti in modo da poter garantire che le violazioni del diritto internazionale siano indagate a fondo” è in moto. Chi ha informazioni può condividerle in un portale dedicato in ucraino e russo sul sito della Corte. E’ di questi giorni anche la notizia che Khan ha fatto richiesta per mandati di cattura per alcuni ufficiali dell’Ossezia del sud, una regione della Georgia che, col sostegno della solita Russia, nell’estate del 2008 intraprese una serie di operazioni militari per secedere dallo stato di cui fa parte. Leggremo presto che la giustizia internazionale è russofoba?

Come si sa la CPI non può indagare sul crimine di aggressione a meno che la situazione non sia deferita dal Consiglio di sicurezza dell’ONU. La Russia, in quanto membro permanente del Consiglio e con diritto di veto, non mancherebbe di esercitarlo. Per ovviare a queste dififcoltà procedurali, che potrebbero esser ovviate solo se a Mosca ci fosse un cambio di governo, alcune personalità hanno lanciato la proposta di un Tribunale ad hoc, per non dire ad personam. Sarebbe un’istituzione da creare al di fuori del sistema delle Nazioni unite, o magari dall’Assemblea generale, che comunque potrebbe farebbe tesoro delle indagini in coroso e del contributo di varie organizzazioni non-governative. Indipendentemente dalla fattibilità della proposta è significativo che ci si ponga il problema dei limiti della giurisdizione della CPI e di come perseguire i gravi crimini che si commettono in Ucraina. 

La ministra Marta Cartabia ha creato una commissione di esperti per poter arrivare entro maggio alle modifiche necessarie affinché il nostro ordinamento sia in linea con quanto previsto dallo Statuto di Roma e per mettere l’Italia in condizione di poter cooperate appieno con la Corte se e quando sarà necessario direttamente o attraverso Eurojust.

Occorre quindi far seguire fatti concreti: in primis rafforzare i finanziamenti nazionali alla Corte dell’Aja perché per troppo tempo ce ne siamo dimenticati come stato e come Unione europea, va completato l’adeguamento dei nostri codici per il pieno rispetto del Trattato di Roma e prevedere che, come avviene altrove in Europa, si possa invocare la giurisdizione universale in caso di crimini come quelli di Putin in Ucraina e capire se la via di un tribunale ad hoc è perseguibile.

Nel frattempo però occorre che le sanzioni nei confronti della più alte cariche del regime russo vengano indurite e che non si escluda un embargo totale. Le prime colpiscono direttamente i massimi responsabili politici di quanto nei loro interessi personali – fatti salvo naturalmente gli emissari di Putin che a un certo punto dovranno sedersi al tavolo della trattativa per porre fine ai combattimenti – il secondo colpirà purtroppo tutta la popolazione, ma continuare a finanziare questa guerra attraverso gli scambi con la Russia (esclusi naturalmente quelli relativi alle medicine essenziali e le derrate alimentari) è una criminale connivenza.