Il mio intervento all’inaugurazione dell’Anno Giudiziario a Potenza

Riporto per voi, oggi, il mio intervento durante l’inaugurazione dell’Anno Giudiziario a Potenza, ripreso anche dalla Gazzetta della Val d’Agri di martedì 30 gennaio 2018.

La strage di diritto e legalità ha sempre per corollario, nella storia, la strage di popoli

di Maurizio Bolognetti

Se dovessi trarre dei tag dagli interventi che si sono susseguiti nel corso della cerimonia di inaugurazione dell’Anno giudiziario lucano, le parole chiave sarebbero Democrazia, Costituzione, Stato di diritto, Memoria. Tag, parole d’ordine, parole chiave che alimentano la nostra fame e la nostra sete di Democrazia, di Libertà, di Stato di diritto, di rispetto del dettato costituzionale, di quella Costituzione che pur essendo stata definita “la più bella del mondo” viene oltraggiata e vilipesa da settant’anni. Di quella Costituzione scritta che è stata, ahimè, sostituita dalla Costituzione materiale.

L’inaugurazione dell’Anno Giudiziario è stata per me un’importante occasione per riflettere sulla necessità, l’urgenza di ripristinare il rispetto dello Stato di diritto e magari per ricordare a me stesso le parole del premio nobel Gunnar Myrdal: “La principale caratteristica di uno Stato di diritto consiste nel fatto che l’esercizio del potere sia sottoposto alla legge. Quando la violazione della legalità da fenomeno marginale diventa l’in sé del sistema, la struttura dello Stato di diritto ne resta sconvolta”.

Ecco, il nostro è un Paese “sconvolto” dal deficit di Stato di diritto,  dall’antidemocrazia montante. Un Paese dove troppo spesso le Istituzioni non rispettano la loro propria legalità, il Diritto, la Legge, la Costituzione repubblicana.

L’amministrazione della giustizia, nonostante l’impegno di tanti valenti e valorosi magistrati, di uomini e donne di buona volontà, continua ad essere un malato grave, nella misura in cui continuiamo a non rispettare quell’art. 111 della Costituzione che parla di ragionevole durata dei processi. Un malato grave che zavorra la vita di un’intera comunità. Una malattia che si traduce in giustizia negata per imputati e anche per chi è vittima di reati.

Le nostre carceri, nonostante l’impegno e l’abnegazione del corpo di Polizia penitenziaria, dei direttori, di chi nelle nostre patrie galere ci lavora, continuano ad essere luoghi in cui non vive il rispetto di quell’art. 27 della Costituzione che prevede che la pena sia finalizzata al recupero del reo. “Siamo stati, in verità, ricacciati negli angoli più bui di uno Stato che non sembra in grado di mantenere fede agli impegni e alle promesse solenni celebrate nelle sue leggi”, così si esprimeva qualche hanno fa Enrico Sbriglia del Si.Di.Pe. (Sindacato Direttori Penitenziari).

Nelle sue parole la fotografia di una realtà e la sofferenza di un servitore dello Stato messo nell’impossibilità di rispettare la Legge.

Ho chiesto di poter intervenire nel corso dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario per poter ricordare il monito che Marco Pannella ha ripetuto a lungo: “Occorre interrompere la flagranza di reato contro i diritti umani e la Costituzione”.

Ho preso la parola per poter affermare, senza timore di poter essere smentito, che sul fronte della tutela ambientale il nostro Stato è uno Stato canaglia.

Ho preso la parola per affermare che inevitabilmente – come insegna la vicenda Ilva, la vicenda Eni in Val d’Agri, i casi Seveso – la strage di diritto e di legalità si traduce inevitabilmente in strage di popoli e di vite.

Ho preso la parola per dire che “Memoria” fa rima con  rispetto del Diritto umano e civile alla conoscenza e che in questo nostro Paese, che ha dato i natali a giuristi quali Cesare Beccaria e Mario Pagano, si consuma da troppo tempo un attentato ai diritti civili e politici dei cittadini e quindi una violazione di quell’art. 294 del Codice Penale che recita: “Chiunque con violenza, minaccia o inganno impedisce in tutto o in parte l’esercizio di un diritto politico, ovvero determina taluno a esercitarlo in senso difforme dalla sua volontà, è punito con la reclusione da uno a cinque anni”. C’è violenza quando si nega conoscenza. La negazione di conoscenza si traduce in inganno, in purga, in manganello di regime.

Ho preso la parola per onorare le mie Istituzioni e per ricordare a me stesso che con Rita Bernardini, a sostegno di Rita Bernardini, sto conducendo uno sciopero della fame per chiedere l’approvazione definitiva dei decreti legislativi di riforma dell’Ordinamento Penitenziario.

Ho preso la parola per ringraziare la DDA e la DNA che hanno accesso un riflettore sulle attività petrolifere in Val d’Agri.

Ho preso la parola per dire che, con l’Associazione Coscioni e Marco Cappato, esprimo soddisfazione per l’approvazione della legge sull’interruzione delle terapie e le disposizioni anticipate di trattamento, che solleva la magistratura dall’onere – portato avanti dal caso Welby ad oggi – di supplire all’inerzia del garantire il rispetto del diritto costituzionale all’autodeterminazione. Tale inerzia, ahinoi, si protrae invece – con conseguenze negative per la giustizia – in altri campi, come quello delle droghe proibite e della libertà di ricerca scientifica.

Ci sono leggi criminogene e c’è  la necessità di riportare questo nostro Paese sul binario dello Stato di diritto e del rispetto, per dirne una, di quell’art. 49 della Costituzione che recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

E’ davvero difficile, da troppo tempo, intravedere traccia di “metodo democratico” e da troppo tempo assistiamo alla sostanziale violazione non solo del diritto di elettorato passivo, che in certi casi assurge a privilegio, ma anche di quello di elettorato attivo.

Sono davvero grato al Presidente della Corte d’Appello di Potenza che ha voluto concedermi diritto di tribuna e di parola. E’ stata una cerimonia ricca di contenuti e che ha offerto numerosi spunti di riflessione.