Mio intervento al Convegno: SALVARE IL REFERENDUM PER RIVITALIZZARE LA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA

18/07/2022 Sala del Refettorio, Camera dei Deputati

 

Parto dalla sessione finale: “Gli ostacoli alla transizione digitale al servizio dell’esercizio dei diritti politici”, oggetto del Convegno e che sicuramente ci è stato chiarito essere sempre più una questione centrale alla politica di questi tempi.

L’intervento della professoressa Ginevra Cerrina Feroni, vicepresidente del Garante per la protezione dei dati personali, è stato importantissimo. Noi abbiamo commentato una bozza di decreto per l’istituzione di una piattaforma pubblica per la raccolta di firme online di cui non conosciamo il testo completo.

Ci siamo basati solo sulla risposta del Ministro Vittorio Colao all’onorevole Riccardo Magi in Parlamento nell’ambito di un question time.

Abbiamo discusso, in sede di incontro ministeriale, di una bozza di decreto che non conosciamo, in quanto non ci è stato fornito nonostante le richieste. Gli elementi di criticità che sono emersi dalla relazione della professoressa Feroni sono elementi molto gravi perché denotano o l’inadeguata preparazione di chi si avvicina a tale materia oppure, forse, la malafede di chi vorrebbe ostacolarne la fruibilità.

A ottobre scorso abbiamo depositato in Cassazione delle firme valide, raccolte grazie a una piattaforma di cui il dottor Gianni Sandrucci, AD di ItaAgile, ha spiegato le caratteristiche: firme raccolte tramite SPID. L’intervento dell’avvocato Vincenzo Colarocco, responsabile del dipartimento “Compliance, media e tecnologia” dello Studio Previti, ci ha chiarito cosa significa firma con SPID e qual è la normativa di riferimento per la loro validità.

Lo stupore a seguito delle dichiarazioni del Ministro Colao, relativamente alla firma tramite SPID, era più che motivato in virtù di una normativa che noi tutti conosciamo e che oggi è stata ulteriormente approfondita. Mentre nulla è emerso in quella sede, e neppure all’incontro con al Ministero con il Ministro, Capo segreteria e ufficio legislativo, sulle eccezioni sollevate dal Garante privacy per cui il Governo deve necessariamente essere estraneo al processo di identificazione e affidamento di chi gestisce una piattaforma.

Sempre sul testo della bozza di decreto, che non conosciamo, non è emerso che preveda che il gestore della piattaforma divenga il titolare del trattamento dei dati di chi sottoscrive, mentre sono di fatto i Comitati promotori i titolari fino alla consegna delle stesse. Così come non è emerso che i dati raccolti durante la raccolta firma sui referendum su cui esiste una liberatoria firmata, non sono dati che hanno una scadenza, come invece la bozza di decreto prevede, la cui scadenza è di 5 anni.

Tutto ciò determinerebbe che in Corte di Cassazione dovrebbero verificare questi dati per tutti i quesiti referendari depositati nel tempo e distruggerli una volta chiuso l’iter. E così anche i Comitati promotori che sono i titolari dei dati – mentre questi ultimi su richiesta della persona cancellano i dati su cui è stata firmata la liberatoria.

Di problemi emersi sulla bozza di decreto, a sentire la Vice presidente dell’autorità, ce ne sono quindi numerosi e non riguardano la validità di firma con SPID ai fini del deposito alla Corte di Cassazione. Sicuramente la richiesta di rendere nota la bozza di decreto al fine di garantire una consultazione pubblica è da fare immediatamente, e la crisi di Governo non crea problemi perché l’azione è utile sia se la legislatura volge al termine naturale sia per il prossimo Governo.

Ultima osservazione sulla questione della piattaforma: durante l’incontro al Ministero per la transizione digitale a un certo punto sembravamo parlare lingue diverse. Prova ne è che non sono state affrontate le criticità che oggi abbiamo appreso in questo utile dibattito. Do atto al ministro Colao, che era in collegamento, di aver cercato di entrare nel merito, cercando di capire le nostre ragioni e cercando di prendere tempo, rendendosi disponibile per risolvere eventuali problemi che nel confronto con gli uffici non emergevano.

Ma veniamo alla prima parte di questo incontro: “L’impatto del giudizio di ammissibilità della Corte Costituzionale sui diritti politici dei cittadini”.

Dopo questo incontro seguiranno altri appuntamenti, uno che promuoviamo con la Società della Ragione è già previsto per metà settembre a Treppo e un’altro che, come Associazione Luca Coscioni e comitati, abbiamo posticipato.

Abbiamo studiato durante la nostra formazione universitaria che, quando i padri costituenti decisero di inserire il referendum abrogativo tra gli strumenti deliberativi che il corpo elettorale poteva utilizzare, pensavano di aumentare il tasso di democrazia in una forma di Stato caratterizzata dalla centralità della rappresentanza politica.

È innegabile che in sede di giudizio di ammissibilità dei referendum abbiamo assistito negli anni a una giurisprudenza costituzionale che, con qualche eccesso di paternalismo, è andata decisamente oltre gli stretti confini dello studio del quesito referendario e della stessa formulazione letterale dell’articolo 75 della Costituzione comma 2, per analizzare gli effetti, nel contesto normativo dell’intero ordinamento giuridico, dell’ablazione di norme o frammenti norme.

Il professor Andrea Pugiotto ci ha ricordato che negli anni su 163 richieste referendarie solo 83 quesiti sono stati ammessi.

Questa storia evidenzia che sono state aumentate le motivazioni per ridurre la possibilità di presentare, cioè di indire un referendum. I giudici della Corte si sono adoperati nel tempo per aumentare i motivi di inammissibilità e mai per trovare una modalità per superare i limiti del referendum abrogativo e salvare questo istituto.

Senza ripercorrere quanto già detto oggi, dall’ultima giurisprudenza costituzionale (le sentenze 49, 50 e 51) in materia di referendum, emergono elementi di continuità con la precedente giurisprudenza di sfavore verso i quesiti. Un ulteriore elemento di continuità è la lenta trasformazione del giudizio di ammissibilità sui quesiti referendari in una sorta di controllo anticipato di legittimità della normativa di risulta.

Giudizi che sul piano formale e teorico sono, e dovrebbero restare, nettamente distinti.

Come promotrice, e per i promotori del referendum sull’abrogazione parziale dell’articolo 579 del codice penale, ho discusso in Corte costituzionale e sono la Presidente del Comitato promotore e membro del collegio della difesa di quello sulla cannabis. Con alcuni di voi abbiamo lavorato insieme alla redazione dei quesiti approvati dalla Corte di Cassazione dopo la verifica delle firme depositate. Oltre a quanto già detto dalla professoressa Marilisa D’amico e dal professor Andrea Pugiotto in questa sede, voglio estrapolare una parte significativa dalle motivazioni sull’inammissibilità del quesito per l’abrogazione parziale dell’articolo 579 del codice penale. Per evidenziare ancor più il tipo di giudizio cui abbiamo assistito cito un passaggio della sentenza n. 50 dello scorso febbraio:

Al riguardo, va altresì ribadito che il giudizio di ammissibilità che questa Corte è chiamata a svolgere si atteggia, per costante giurisprudenza, «con caratteristiche specifiche ed autonome nei confronti degli altri giudizi riservati a questa Corte, ed in particolare rispetto ai giudizi sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti con forza di legge» (sentenze n. 26 del 2011, n. 45 del 2005, n. 16 del 1978 e n. 251 del 1975). Non sono pertanto in discussione, in questa sede, profili di illegittimità costituzionale, sia della legge oggetto di referendum, sia della normativa risultante dall’eventuale abrogazione referendaria (sentenze n. 27 del 2017, n. 48, n. 47 e n. 46 del 2005).

Però poi subito dopo i Giudici della Corte continuano scrivendo:

Quel che può rilevare, ai fini del giudizio di ammissibilità della richiesta referendaria, è soltanto una «valutazione liminare ed inevitabilmente limitata del rapporto tra oggetto del quesito e norme costituzionali, al fine di verificare se […] il venir meno di una determinata disciplina non comporti ex se un pregiudizio totale all’applicazione di un precetto costituzionale» (sentenze n. 24 del 2011, n. 16 e n. 15 del 2008 e n. 45 del 2005).

Questo passaggio evidenzia che la Corte di fatto ammette che un qualche controllo di legittimità anticipata c’è stato, potremmo dire con una costanza che anche in altri ambiti la Corte negli anni sta evidenziando.

Relativamente alla sentenza sul referendum cannabis: da molti, a partire dal professor Pugiotto, è stata evidenziata l’errata ricostruzione sistematica del quadro normativo del Testo unico 309/90 sulle droghe sul quale interviene la richiesta referendaria, oltre l’ignorato dato scientifico in base al quale l’unica pianta che può essere coltivata e consumata senza altre trasformazioni o estrazioni è la cannabis. Un errore di percezione che investe la rappresentazione del fatto su cui si fonda la decisione costituzionale. Non affronto il terzo referendum bocciato perché evidenzia questioni che sarebbe lungo commentare in questa sede.

Se da un lato certo si configura, come ricordato dal professor Pugiotto, un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato (ex articolo 134 della Costituzione) che noi in qualità di comitati promotori – in rappresentanza dei sottoscrittori – siamo legittimati a proporre contro la Corte costituzionale-giudice referendario davanti alla Corte costituzionale-giudice dei conflitti interorganici.

Un ricorso che porta alla richiesta diretta che sia annullata la sentenza pronunciata (ex articolo 38, legge n. 87 del 1953) chiamando così la Corte costituzionale a rivalutare l’ammissibilità del quesito abrogativo bocciato a febbraio 2022. Ipotesi che di fatto non è stata esclusa, essendo noi Comitati promotori i titolari della legittimazione processuale, ad agire in rappresentanza del potere dello Stato Comitato promotore. È oggetto di riflessione e lavoro con accademici e giuristi che pensiamo può portare a questo tipo di giudizio.

C’è un’altra possibilità che non entra in contrasto con l’azione menzionata e che riguarda le azioni in sede internazionale che pure hanno portato a pronunce che hanno prodotto effetti concreti come le osservazioni del Comitato Onu sui diritti umani a seguito del caso Staderini-De Lucia contro Italia che ha prodotto effetti concreti per l’esercizio di democrazia partecipativa nel nostro Paese.

In occasione del voto referendario, abbiamo chiesto ai sottoscrittori dei referendum di rendere ai seggi dichiarazione sul mancato esercizio di un diritto. Una dichiarazione che non mirava a boicottare il referendum, non era nostro intento, ma che denunciava il mancato esercizio di un diritto: il diritto al voto.

Ogni limite imposto allo svolgimento del referendum altro non è che un limite al diritto al voto – articoli 48 e 2 della Costituzione- . La risposta dei sottoscrittori dei referendum dichiarati inammissibili, che i nostri comitati hanno promosso, è stata straordinaria. Tantissimi cittadini hanno reso dichiarazione nel giorno in cui si andava a votare per i referendum giustizia, e questa azione diffusa sarà oggetto di procedimento in sede internazionale.

Quello che si chiede è il rispetto della legalità costituzionale e non un trattamento privilegiato in virtù della bontà dei temi proposti. Al prossimo congresso dell’Associazione Luca Coscioni terremo conto di questi problemi fin dalla convocazione. Occorre lavorare affinché la Corte abbia un perimetro definito e non in definendo, che di fatto determina con la propria giurisprudenza modificando di volta in volta i limiti per l’ammissibilità dei referendum. Si tratta di decisioni che devono favorire azioni di democrazia – che di fatto non è diretta poiché deve passare due vagli – che dobbiamo definire partecipativa, di iniziativa popolare.

Personalmente condivido molte delle proposte che sono state fatte in questo incontro, sappiamo che dobbiamo fare i conti con l’attività legislativa e con un Parlamento che deve avere una forza e una determinazione che non ha per portare a compimento determinate modifiche normative che dovrebbero essere approvate per garantire il sentimento iniziale dei padri costituenti, i quali hanno inserito in Costituzione la possibilità di indire i referendum e proporre leggi di iniziativa popolare.

Sono stati ipotizzati diversi strumenti di dialogo con la Corte così come anche la possibilità che attivi i poteri di cui è titolare per il controllo di legittimità della normativa di risulta successivamente alla tenuta dei referendum con decisioni nelle forme che rientrano nei poteri della Corte, tutto ciò con l’intento dopo la verifica preliminare di garantire l’esercizio di  piena democrazia con la tenuta dei referendum. Tra le altre cose dobbiamo chiedere alla Corte che in Italia, come già avviene in altri paesi, sia prevista la possibilità di conoscere le opinioni dissenzienti che forniscono un’altra lettura delle motivazioni che verranno espresse nei giudizi dei giudici.

Il referendum non serve per dirimere controversie o rafforzare le posizioni di poteri o di forze politiche in conflitto, ma per deliberare la cancellazione di una legge votata dal Parlamento o di norme non più in linea con nuovi quadri normativi e di tutela e, in ipotesi, non volute dalla maggioranza del corpo elettorale. Si tratta di uno strumento di decisione di vita democratica.

Il nostro modo di procedere è sempre stato dal dialogo all’elaborazione di proposte concrete per un perimetro chiaro che sia definito in sede di ammissibilità e di inammissibilità del referendum, cioè un’azione congiunta per far vivere la nostra Carta costituzionale nel pieno adempimento di una democrazia vivente cui non vogliamo rinunciare.