L’umanità non ha futuro felice se le bambine non partecipano

La più sistematica, massiccia e protratta violazione dei diritti umani della storia dura da che “mondo è mondo” ma si stenta a riconoscerla come tale: si tratta di quella contro le donne e in particolare le ragazze e le bambine.

Sempre più spesso, quando si parla di discriminazioni, soprusi e violenze, si ricorre a ‘storie’. “Non stiamo parlando di numeri ma di persone!” Una storia coinvolge, suscita empatia, compassione e solidarietà, dà un volto a quel che si vuole denunciare.

Avrei quindi potuto, anzi dovuto, dettagliare la storia delle bambina indiana data in sposa a un ragazzino della stessa religione, magari residente dall’altra parte del mondo, o quella della minorenne nigeriana venduta perché la famiglia non riesce a pagare i debiti o di sua madre che non può ereditare le scarse proprietà del marito o dei genitori. E perché non ripercorrere le miserie delle bambine del Chad che agli angoli di ogni strada del loro paese o di quelli limitrofi chiedono l’elemosina sotto 50 gradi tutti i giorni, tutto il giorno, tutta la vita, o della ragazzina rom che, pressoché ovunque nel mondo, non troverà mai un lavoro né potrà uscire dalla sua ‘comunità’ e farà figlie che avranno la stessa prospettiva di vita. Si potevano raccontare i giorni di una giovane filippina che a 30 anni ha 10 figli che non sanno cosa fare o dove trovare impiego, o di quelli della transessuale birmana che vive come un fantasma ripudiata dalla famiglia e sfruttata dal primo che capita, della bambina guatemalteca violentata da amici e parenti o di quella di Eswatini che si prepara a diventare l’ennesima moglie del sovrano. Delle ragazzine moldave e ucraine che finiscono nelle regge dei sultani o sui marciapiedi di mezza europa; oppure dell’adolescente polacca, italiana, irlandese, cipriota o statunitense che non conosce il preservativo o la pillola del giorno dopo e non riceve alcuna “educazione” sessuale e non sa a chi chiedere informazioni al riguardo. Per non parlare delle bambine delle tribù indigene dell’Amazzonia o degli altopiani dell’Indocina che non potranno mai diventare capo villaggio perché non è previsto dalle loro culture millenarie, o di tutte le bambine che non son mai nate perché politiche di controllo demografico imponevano un figlio unico e quindi era meglio qualcuno che possa produrre reddito e non problemi. E che dire di come le donne sono trattate dalle religioni.

Avrei potuto infine parlare delle mie nonne: Afra che nel 1921 non fu iscritta alla sesta elementare perché doveva aiutare la piccola impresa famigliare in cucina o Ilona che all’inizio degli anni Trenta sposò il primo bellone (e coglione) che passava per sfuggire a un padre autoritario, ma è più utile parlare di numeri.

Ma qui lo scandalo non sono (solo) i dettagli delle enormi e quasi indelebili ferite psico-fisiche. Qui lo scandalo sono le dimensioni delle violazioni e la loro assenza dal dibattito pubblico.

Da millenni metà dell’umanità viene maltrattata. In alcune parti del nord del globo e qualche isola del sud la situazione è migliorata da poco più di 100 anni, ma nel resto del mondo troppo poco s’è mosso. Questi soprusi sono ancora più devastanti nei confronti di chi ha meno di 35 anni (e ancora di più per chi è minorenne): una parte della popolazione mondiale che alla vigilia del secondo decennio del terzo millennio rappresenta circa un sesto dell’umanità: un miliardo e duecento milioni di esseri umani.

Nel 2017, l’Organizzazione Mondiale della Salute ha stimato che fino a 1 miliardo di minori di età compresa tra 2 e 17 anni ha subito violenze fisiche, emotive o sessuali (dal tentato stupro alla violenza vera e propria). Secondo alcune stime dell’UNICEF del 2014, le violenze con fini sessuali contro minorenni hanno colpito oltre 120 milioni di persone – dove i bambini rappresentano il maggior numero di vittime. Nel 2017 la stessa organizzazione delle Nazioni Unite ha riferito che in 38 paesi a basso e medio reddito, quasi 17 milioni di donne adulte hanno ammesso di aver avuto un rapporto sessuale forzato durante l’infanzia.

Nel mondo, circa il 44% delle gravidanze nel periodo 2010-2014 non era intenzionale (in Italia una su quattro), corrispondente a circa 62 gravidanze non intenzionali per 1000 donne di età compresa tra 15 e 44 anni. Se i tassi di gravidanza non intenzionali sono lentamente in calo nella maggior parte delle aree del mondo, diverse regioni geografiche hanno tassi di gravidanza non previsti molto differenti. I tassi tendono ad essere più alti nelle regioni a basso reddito in America Latina e Africa, stimati rispettivamente in 96 e 89 gravidanze non intenzionali su 1000 donne e più bassi nelle regioni a più alto reddito come il Nord America e l’Europa, stimati in 47 e 41 gravidanze non intenzionali per 1000 donne, rispettivamente. Nord o sud del globo continuano comunque ad avere un problema di scelta delle donne di avere figli o, comunque, di non poter scegliere se tenerli.

In un mondo che tra 30 anni potrebbe vedere quasi 10 miliardi di persone, la vera storia sono i numeri di questa continuata violazione dei diritti umani e il fatto che lottare contro queste crudeltà continui a non essere la priorità politica globale.

Si è conclusa da poco la Conferenza Internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo (ICPD25) convocata a Nairobi a 25 anni dalla conferenza del Cairo che provò a porre quelle stesse questioni alla Comunità Internazionale in una fase storica di grandi cambiamenti geopolitici e in cui gli abitanti del pianeta erano due miliardi in meno. Per tre giorni quasi 10mila persone si sono incontrate per condividere prospettive e problemi sul futuro del pianeta facendo tesoro delle esperienze del passato e del fatto che in un quarto di secolo il progresso resta comunque molto limitato e circoscritto ad alcune zone del mondo. Sebbene il numero totale degli impegni presi dai partecipanti sorpassi le 1200 promesse, tutti i presenti hanno concordato sulla necessità di raggiungere (almeno) cinque “zero”:

  • Zero ostacoli alla contraccezione e all’assistenza sanitaria riproduttiva.
  • Zero decessi prevenibili in gravidanza e parto.
  • Zero violenza di genere, aggressioni e abusi.
  • Zero matrimoni di bambini.
  • Zero casi di mutilazione genitale femminile.

Non molti governi tra cui però Austria, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Islanda, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia e Regno Unito, insieme alla Commissione europea, hanno stanziato circa 1 miliardo di dollari per far sì che dalle parole si passi ai fatti. Gli USA hanno pensato bene di boicottare la conferenza sponsorizzando un incontro dei movimenti anti-aborto di mezzo mondo (ricco) e mettendo insieme una decina di paesi (Brasile, Bielorussia, Egitto, Haiti, Ungheria, Libia, Polonia, Senegal, Saint Lucia e Uganda) a sostegno di una contro-dichiarazione che affermava che l’aborto non era una politica di pianificazione famigliare – cosa che naturalmente nessuno ha mai affermato.

Anche il settore privato è intervenuto: Child’s Investment Fund (CIF), The Ford Foundation, Johnson & Johnson, Philips, World Vision e molte altre organizzazioni si sono impegnate a raccogliere circa 8 miliardi di dollari.

Un’importante serie di promesse che se mantenute consentiranno di far fare significativi passi avanti verso gli obiettivi fissati. Secondo le stime dell’agenzia ONU per la popolazione, UNFPA, occorrono almeno due miliardi e mezzo per i prossimi 10 anni per essere pronti a rispettare gli impegni presi relativamente agli obiettivi dello sviluppo sostenibile che hanno come soggetto e oggetto le donne e le bambine.

Storytelling o non storytelling questa è la drammatica, e spesso tragica, urgenza per i prossimi anni: abbattere gli ostacoli sociali, economici, culturali e politici per far sì che la metà dell’umanità non sia più discriminata e violata. Sarebbe anche un altro investimento per contenere l’aggressione all’ambiente e promuovere pace e sicurezza internazionali.