Le scuole in zona rossa sono aperte

Con nota n. 62 del 12/03/21 il Ministero dell’Istruzione fornisce un commento esplicativo all’art. 43 del decreto del Presidente del Consiglio del 2 marzo 2021, il quale dispone che nelle zone rosse “Resta salva la possibilità di svolgere attività in presenza qualora sia necessario l’uso dei laboratori o in ragione di mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali […]”.

Fermo restando che nell’insieme degli alunni con Bisogni Educativi Speciali (BES) vengono annoverati quelli con disabilità, quelli con disturbi evolutivi specifici (ADHD, DSA, Disturbi non verbali, verbali e motori) ma anche alunni con svantaggio sociale, culturale e linguistico anche transitori, la nota in oggetto fornisce precise e adeguate interpretazioni circa l’opportunità di proseguire un cammino formativo in presenza che garantisca il diritto all’istruzione e all’inclusione con ovvia attenzione alla tutela della salute.

È vero, come stabilisce la nota stessa, che non vi è automatismo tra bisogno educativo speciale e didattica in presenza e che in alcune circostanze la didattica a distanza (o meglio digitale) può essere più efficace di quella in presenza, ma l’aspetto da tenere in alta considerazione, facilitare e nutrire è quello dell’interazione tra pari (a qualsiasi cosa porti questa interazione: scontro, incontro, collaborazione, costruzione di relazioni affettive, etc.) per non interrompere il processo di costruzione di quelle architetture emotive e relazionali che sono indispensabili per gli apprendimenti disciplinari in senso stretto.

Ed è proprio per questo che la nota prosegue delineando la possibilità che le singole istituzioni scolastiche, nell’ambito dell’autonomia prevista dalla legge, “non dovranno limitarsi a consentire la frequenza solo agli alunni e agli studenti in parola [BES, ndA], ma al fine di rendere effettivo il principio di inclusione valuteranno di coinvolgere nelle attività in presenza anche altri alunni appartenenti alla stessa sezione o gruppo […] con i quali gli studenti BES possano continuare a sperimentare l’adeguata relazione nel gruppo dei pari, in costante rapporto educativo con il personale docente e non docente presente a scuola.”

Quindi le scuole devono non solo garantire la didattica in presenza per gli alunni con bisogni educativi speciali ma possono (io direi devono) anche adoperarsi affinché per quanto piccolo si possa ricreare un microcosmo di classe adeguatamente assortito anche valutando l’eventualità della rotazione.

Qui, qualcuno dice, il tracciato logico (e non solo) potrebbe divenire accidentato, perché al fine di rendere effettivo il principio di inclusione si rischia di precipitare nella discriminazione creando le categorie dei BES e non BES. A mio avviso non è così: l’appartenere alla categoria BES è un dato  supportato da valutazioni mediche e/o del consiglio di classe. E l’essere inseriti in una delle categorie di BES è funzionale solamente alla tutela e al riconoscimento delle pari opportunità.

Per cui  le scuole possono aprire (anzi sono aperte) nel rispetto delle normative anti contagio per la tutela della salute di tutti, ovviamente, ma possono aprire.