Lavinia era affetta da una rarissima patologia incurabile, difficile anche da descrivere. Mirko, invece, era affetto da miopatia miotubulare in stato di coma irreversibile e sempre connesso ad un ventilatore meccanico, immobile in un letto per un danno cerebrale alla nascita. Nello stesso ospedale c’erano anche Giulia, Marco e Federica. Tutti bambini ‘ospedalizzati’ a Roma, legati a situazioni di salute critica, che in un tempo non lontano ho conosciuto.
Le loro famiglie hanno lottato per avere cure che non avrebbero mai guarito i loro figli, che non avrebbero mai fatto svegliare Mirko, o fatto parlare e/o camminare Lavinia, ma che potevano permettere a tutti loro più serenità, per quanto possibile.
Insieme ai genitori siamo riusciti a farli uscire da quegli ospedali, a farli tornare nelle loro case, con una assistenza domiciliare e una presenza di infermieri H24.
Quando non sono state possibili abbiamo lottato ed ottenuto una casa detta “home in hospital”, istituita presso l’ospedale di Ostia, dove la famiglia poteva stare liberamente con il loro piccolo. Gli altri bambini ci hanno lasciato prima di uscire dal Bambin Gesù di Palidoro, dove non è stata una buona esperienza.
Oggi il caso del piccolo Charlie e della sua famiglia mi fa rivivere quella battaglia diversa, vinta in Italia nel 2006 (in questa pagina puoi rileggere le loro storie). Non sono riuscita a reperire la decisione della Corte EDU, non so se i giudici si siano riportati al margine di discrezionalità degli Stati o siano entrati nel dettaglio.
Continuare cure in una situazione del genere, così come descritta dai giornali essere irreversibile, peggiorativa tanto da non permettere al piccolo di affrontare un viaggio per accedere a cure sperimentali come avrebbero voluto i suoi genitori, si rivelerebbe essere un accanimento terapeutico che andrebbe ad apportare ulteriori e nuove sofferenze, senza nessun beneficio.
I genitori hanno dichiarato che la somma raccolta per portare Charlie in USA sarà donata alla ricerca. Io sono, comunque, con i genitori di Charlie, con Charlie. E’ difficile lasciare andare chi si ama, ma se questi genitori volevano attendere, provare un’altra possibilità di terapia che non avrebbe aggravato la situazione già grave, hanno tutto il diritto di farlo se ciò avviene con una valutazione adeguata dei medici.
Questo caso non ha nulla a che fare con i casi italiani sul fine vita, perché Piergiorgio Welby, capace di intendere e di volere, ha scelto personalmente di essere staccato dai macchinari. Eluana Englaro ha espresso il suo volere quando era capace di intendere e di volere, ed è stata costretta a subire trattamenti sanitari che non avrebbe voluto.
Ogni giorno ci battiamo per affermare il diritto alla libertà di scelta espressa; questo caso delicatissimo non dovrebbe condurci al tifo per uno o per l’altro campo, dovrebbe invece far riflettere su questioni molto delicate, a partire da una alleanza terapeutica tra medico e paziente con i giusti tempi di cura che portino alla migliore scelta per l’interesse di quest’ultimo.
Emerge, con tutta evidenza, la necessità di avere leggi che affrontino con chiarezza i vari aspetti e problemi del fine vita.
Il testo di legge in Italia in esame al Senato calendarizzato per il 25 luglio è un primo importante passo per riuscire a regolare queste situazioni.
Ci appelliamo alla responsabilità del Legislatore italiano perché approvi prima della pausa estiva una buona legge per tutti.
Filomena Gallo è Segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni. Avvocata cassazionista è esperta in diritto di famiglia, diritto internazionale e in problematiche legislative nelle biotecnologie in campo umano. Docente a contratto presso l’Università di Teramo, ha seguito la maggior parte dei procedimenti legali che hanno portato agli interventi della Corte Costituzionale con dichiarazione di incostituzionalità della legge 40/04.