È uno strano Paese il nostro dove il Papa predica di difendere sempre e comunque la vita, parole più o meno sue, e poi succede che un uomo uccida sua madre novantaduenne soffocandola col cuscino sul volto “lievemente” e venga assolto perché il fatto non sussiste. Che un Tribunale del nostro Paese riconosca le motivazioni amorevoli (“estremo atto d’amore” secondo l’avvocato difensore) di un improvvisato accabadoro piemontese che agisce per evitare ulteriori sofferenze alla madre, già invalida, già provata, col solo fine della morte, è un fatto, come ha detto anche Luigi Manconi, strano per un Paese in cui lo stereotipo punitivo della scorciatoia della morte come sottrazione alla vita è ben presente, a sentire Papa e compagni. La scorciatoia della morte fu punita dal cardinal Ruini che giudicò Piergiorgio Welby indegno di entrare in chiesa cadavere, peccatore per avere desiderato la soluzione “opportuna” della morte.
Ma allora in questo strano Paese, l’operaio accabadoro di Asti che ha avuto cuore di sistemare le cose al posto di Dio per la vita mortificata e degradata del suo vecchio genitore, è un peccatore, un assassino, un matto che si crede onnipotente oppure un misericordioso, un figlio che ama sua madre, un giusto? Tutto questo e ancor di più potrebbe essere, nel bene e nel male. Per il Tribunale di Asti ha procurato la morte, fattivamente, ma non è punibile. Non è stato giudicato un assassino. Eppure la morte è la morte, si dirà, una cosa seria l’interruzione della vita, la vita con la V maiuscola.
Che io sappia, dopo il fatto di Asti, non ci sono stati interventi da parte dei vertici della Chiesa cattolica sia a favore di questa sentenza che contro questa sentenza. Eppure di vita con la V maiuscola trattasi. Ad essere coerenti, l’accabadoro Giovanni di Asti come minimo dovrebbe essere additato a peccatore di un esempio da non seguire. Di questi tempi, col referendum sull’eutanasia pronto a vincere, il pretesto del fatto di Asti poteva essere usato per indicare un comportamento esecrabile, da peccatore ben più grave di Piergiorgio Welby che desiderava la morte per se stesso, senza far male a nessun altro. Ad Asti, nel paesino di Piovà Massaia, la morte è stata procurata. Èun omicidio. E “il fatto non sussiste” secondo la Giustizia.
Ma se continuo a chiedermi come mai la Chiesa non sia coerente, come mai non sia spuntato un cardinal Ruini astigiano a predicar la punizione o se rifletto sul fatto che la Chiesa abbia potuto stendere un velo pietoso su questo caso esemplare, allora scopro che lo strano sono io.
Sono io strano che ignoro la flessibilità della Chiesa su questi temi. Non sono contraddizioni, sono flessibilità. È flessibilità considerare normalità i casi di eutanasia clandestina che qualcuno ha avuto il coraggio di chiamare col suo nome. E quindi stendiamo il velo pietoso. È flessibilità predicare secondo riferimenti assoluti integralisti e poi avvicinarsi alle persone scoprendo che la vita con la V maiuscola non esiste, ma esiste il vivente, nome e cognome. È flessibilità sostenere la disponibilità della vita e l’autodeterminazione di ognuno di noi, ma non in tutto. È flessibilità sostenere la dignità della persona, ma ritenere che non possa esistere per qualcuno, per chiunque, la vita non più degna di essere vissuta, che non possa esistere una sopravvivenza intollerabile. Èflessibilità avere contemporaneamente l’idea che Dio mi ha fatto dono della vita e che Dio possieda ancora la mia vita. È flessibilità credere che desiderare di morire significhi mancanza di fede per qualche ateo e invece per chi desideri “tornare alla casa del Padre” sia un ricongiungimento da benedire. È flessibilità che il Papa predichi contro la mondanità spirituale e poi si presenti in tv da Fazio.
Potrei continuare con quelle che io chiamo contraddizioni della Chiesa. Molte provengono dalla mia educazione cattolica e alcune le ho proprio toccate con mano… Invece devo dirmi, per sentirmi meno strano, che sono flessibilità, che la Chiesa ha un cammino.
Dopo la scelta del cardinal Ruini di non fare entrare in chiesa Piergiorgio Welby ci furono molti cattolici che scelsero di sbattezzarsi. Lungo un cammino si perdono inevitabilmente persone. Penso che la Chiesa ne perderà ancora nell’ulteriore cammino flessibile, stante l’impostazione nei riguardi della difesa della vita con la V maiuscola sempre e comunque in ambito di fine vita.
Penso che molti cattolici praticanti si chiederanno se non sia crudeltà rimanere fermi, non agire, di fronte a sofferenze inguaribili, intollerabili, a esistenze non ritenute degne e aspettare l’esito cosiddetto naturale. Se l’astigiano ha agito un’eutanasia illegale considerata un atto d’amore non punibile, allora immagino che sia lecito chiedersi: se assisto il mio vecchio genitore in quelle condizioni e non faccio nulla sono crudele, indifferente, ingiusto? Lo sto torturando? Sono domande lecite. L’eventuale non intervento del medico verso il mio genitore disabile inguaribile sarà ugualmente considerata crudeltà?
Abbiamo esempi ahimè di ammalati inguaribili e disabili, capaci di decidere e stanchi di vivere, che chiedono interruzioni lecite di ogni trattamento per spegnersi e morire, che ricevono risposte da parte di professionisti della salute del tipo “Lei non è pronto per decisioni di questo tipo” (sic!) determinando la perpetuazione di una sofferenza inutile e innescando con cattiveria sensi di colpa (per tacere dell’abuso di potere). Questi professionisti della salute, contrari a dare accesso alla cosiddetta scorciatoia della morte, portatori di principi assoluti altri rispetto a chi hanno di fronte, penso che meritino una riflessione dubbiosa da parte dei credenti attenti, pronti alla flessibilità, in ascolto di persone viventi con nome e cognome.
Se sempre e comunque mantenere la vita significa porre ostacoli al sollievo, significa applicare principi astratti e non vera vicinanza e ascolto verso chi si trova nell’imbuto della morte, significa crudelmente rendere lenta la scivolosa agonia, allora c’è qualcosa che non quadra, ci si contraddice, c’è da rifletterci, comunque si predica in un modo e si razzolerebbe in un altro.
Io credo proprio che molti cattolici faranno queste riflessioni.
Sono riflessioni inevitabili per chi ha avuto esperienza di malattia, di disabilità grave, di assistenza ad un anziano genitore, ad un fratello immobile a letto con la sindrome locked-in da quindici anni, ad una madre con atassia di Canvas dopo tre anni di incapacità motoria totale, al marito con progressiva sclerosi multipla che chiede di congedarsi fin che è presente con la testa, eccetera eccetera…
Riflettere sulla validità dei propri principi assoluti di fronte a richieste estreme di questo tipo, credo sia esercizio spirituale utile e faccia bene a quella flessibilità che sanamente auspico prenda il posto della contraddittorietà.
Un buon esercizio che dovrebbe aver scalfito la nostra rigidità in modo definitivo in tema di richiesta d’interruzione di trattamenti e atteggiamento di difesa della vita con la V maiuscola sempre e comunque è concentrarsi su quanto accaduto anni fa in questo strano Paese. Successe a Termini Imerese nel 2010. Il primario di chirurgia fu condannato per violenza privata per aver eseguito una trasfusione di sangue a una donna gravida che durante l’intervento di colecistectomia incorse in una complicanza emorragica. Nonostante la giovane donna si opponesse alla trasfusione e avesse scritto in anticipo che non l’avrebbe accettata, il chirurgo, fiero di difendere la vita con la V maiuscola, applicò il trattamento con la forza alla donna in lacrime. La sentenza di condanna recitava: “Deve prevalere la piena libertà di scelta in tema di trattamenti sanitari per chiunque anche se tale condotta lo esponga al rischio stesso della vita”.
L’esercizio di flessibilità non è tanto elucubrare quale sia l’interpretazione che i testimoni di Geova fanno del tal versetto della Bibbia e giudicare la loro necessità ermeneutica, quanto piuttosto ripetersi a mo’ di preghiera “libertà di scelta per chiunque”, chiunque, proprio chiunque, “anche se tale condotta lo espone al rischio stesso della vita”, anche se tale scelta procura la morte. Anche se io al suo posto non lo farei. Anche se non sono d’accordo. Anche se ho principi maiuscoli diversi.
Il medico che ha impedito questo diritto è stato condannato per violenza privata (art. 610 CP). Violenza con la V maiuscola.
Diego Silvestri è medico psichiatra, in pensione dal 2021. Ha lavorato presso strutture sanitarie pubbliche in Veneto dove ha ricoperto anche ruoli di responsabilità. È stato professore universitario nella facoltà di Infermieristica a Verona e docente per diversi anni nei corsi per operatore socio sanitario. Presidente della cellula Vicenza Padova. Fa parte del gruppo di lavoro che gestisce il Numero Bianco ed è consigliere generale dell’Associazione Luca Coscioni