La Corte costituzionale alla prova dei padri d’intenzione

A cura degli avvocati Filomena Gallo e Massimo Clara

Andrea (nome di fantasia) è nato cinque anni fa dall’amore dei suoi genitori, due papà italiani, in Canada, grazie alla donazione di gamete femminile e alla gestazione per altri, altruistica, non commerciale, una pratica ammessa dalla legge canadese. La coppia era riuscita finalmente a vedere nascere il proprio bimbo, accogliendolo in una famiglia emozionata, commossa e, secondo le norme canadesi, legalmente riconosciuta. Ma al rientro in Italia, qualcosa va storto: i due, infatti, non riescono ad ottenere il riconoscimento del provvedimento giudiziario straniero, che indica entrambi come genitori. 

Il Sindaco si oppone, ma la Corte di Appello competente accoglie la richiesta. A quel punto, il Ministero degli Interni impugna la decisione e presenta ricorso in Cassazione. Lo stesso organo che, lo scorso anno, a Sezioni Unite, aveva stabilito che l’atto di nascita formato all’estero con l’indicazione di due papà fosse contrario ai principi dell’ordinamento italiano. Ovvero: per la legge italiana una famiglia composta da due uomini non può avere un figlio. Anche se la coppia, senza violare alcuna legge, ha deciso di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita in un Paese estero, dove la gestazione per altri è normata e, a tutti gli effetti, legale ed è soprattutto non commerciale. E qui c’è un altro problema, perché in Italia i due papà non possono di fatto essere riconosciuti come genitori del bambino, pur nel rispetto della legge n.40 del 2004, che vieta il disconoscimento del figlio nato da tecniche di PMA. Una norma che, però, ha valore solo per le coppie di sesso diverso.

In Italia non sono pochi i bambini nati grazie al progetto genitoriale di una coppia formata da due papà. Oltre al Canada, la cosiddetta maternità surrogata è ammessa in molti altri Paesi, e tutti i bimbi nati grazie a questa tecnica godono del legittimo “status di figli”, secondo le leggi dello Stato dove è avvenuta la nascita. Le legge italiana, invece,  proibisce che il provvedimento giudiziario straniero sia riconosciuto, perché contrasterebbe con l’ordine pubblico.

Dopo la decisione della Cassazione dei giorni scorsi, dunque, sarà la Corte Costituzionale a doversi pronunciare su un nuovo caso di discriminazione, ancora più grave perché a danno di minori: la Cassazione ha, infatti, sollevato la questione della legittimità della normativa che vieta l’inserimento, nell’atto dello stato civile di un minore, della indicazione del “padre d’intenzione”, che non è quello biologico.

A prescindere da come la si pensi sulla questione della maternità surrogata, non si dovrebbe mai permettere che la gerarchia dei valori fondamentali sia ribaltata, soprattutto a danno di un minore. In casi come questo, infatti, il bambino vedrebbe ricadere su di sé le conseguenze del comportamento – peraltro non configurabile come reato – dei genitori e risulterebbe discriminato rispetto ai figli di coppie femminili, nati da fecondazione eterologa all’estero, che non subiscono questo stesso trattamento. Ben venga quindi l’intervento della Corte Costituzionale, affinché questa ingiustizia sia finalmente eliminata.