In Italia sono tante le emergenze che ledono i diritti delle persone

In queste settimane la pandemia da Covid 19 e le conseguenze sociali ed economiche con le quali giornalmente siamo chiamati a confrontarci, ha occupato ogni spazio disponibile non solo nell’agenda dei mass media, visto il gran materiale per riempire pagine e pagine o per confezionare servizi in tv, ma soprattutto nell’immaginario collettivo.

Ogni aspetto della vita quotidiana ne viene condizionato, in questi giorni il dibattito riguarda la cena del 24 e il pranzo del 25 dicembre, come e con chi farli e le successive vacanze sulla neve, a emulare il celebre film che aprì la strada ad un genere di grande spessore culturale. Troppa gente piange miseria in ogni dove, poi alla fine i problemi sembrano essere le occasioni conviviali, gli altri anni vituperate e il non poter andare a sciare.

Tutto questo non deve farci dimenticare le fragilità del sistema Italiano, sempre evidenti ed aggravatesi in questi mesi, senza che nessuno o quasi se ne occupasse con convinzione. Si tratta di emergenze che ledono la dignità di tante persone e fanno precipitare l’Italia a livelli di civiltà non degni dell’Unione Europea, a cominciare dalla situazione delle carceri, davanti alla quale ci si volta dall’altra parte; per fortuna non tutti e voglio qui esprimere la mia vicinanza e la mia totale solidarietà a Rita Bernardini, verso la quale le istituzioni dovrebbero solo che mostrare gratitudine.

Grazie al suo prezioso intervento viene denunciata una situazione insostenibile, di sovraffollamento, di mancata precauzione verso il Covid 19 e il conseguente aumento dei contagi. Viene meno il dettato costituzionale, l’articolo 27 recita infatti: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Parole che devono rimanere impresse e che invece sono colpevolmente dimenticate. Nei mesi precedenti si è alzata una gigantesca polemica circa la scarcerazione di numerosi esponenti della criminalità organizzata e il conseguente polverone è stata la scusa dietro cui trincerarsi per non prendere provvedimenti al fine di alleggerire la situazione carceraria.

Mi riferisco oltre all’indulto e all’amnistia, per approvare i quali occorrono però precisi passaggi parlamentari, anche a interventi di più facile portata come la previsione di misure alternative al carcere o la depenalizzazione di alcuni reati.

È questa l’occasione per riproporre delle scelte antiproibizioniste, visto il fallimento di quanto fin qui adottato e la necessità della riduzione dei danni collaterali. Troppi sono i detenuti, persino in attesa di giudizio in una cella per reati relativi alle droghe leggere, quando lo Stato non solo potrebbe evitare di ingolfare i Tribunali con inutili processi di questo tipo, ma appunto farebbe in modo che tanti innocenti in attesa di un processo per reati minori possano far ritorno alla loro vita quotidiana. Il tutto togliendo ossigeno alla criminalità organizzata e rimpinguando le esanimi casse dello Stato.

Le scelte politiche sembrano invece andare in tutt’altra direzione, basti pensare alle decisione del Ministro della Salute circa il cannabidiolo (CBD), prima inserito poi espunto dalla lista delle sostanze stupefacenti. Una disattenzione colpevole, che avrebbe avuto come conseguenza il mettere a repentaglio tutta la filiera della cannabis legale, nonostante si sia riusciti a creare posti di lavoro e sulla quale hanno investito centinaia di persone.

A questo proposito voglio ricordare l’atto di disobbedienza civile del Deputato di Più Europa Riccardo Magi, che qui ringrazio e al quale voglio testimoniare la mia totale solidarietà, per aver ceduto della cannabis a un malato di artrite reumatoide. Nonostante la scienza abbia dimostrato l’efficacia verso alcune patologie, nelle terapia del dolore e per limitare gli effetti collaterali cui si va incontro in determinati trattamenti, nonostante per questo motivo sono le stesse istituzioni pubbliche a farsi carico della coltivazione e della distribuzione, ci troviamo spesso a fare i conti con quantitativi insufficienti o con modalità tali che non garantiscono a tutti la disponibilità.

Il nostro impegno deve essere diretto a porre termine a questo Stato di cose, forti della sentenza delle Nazioni Unite dello scorso 2 Dicembre verso cui ci inchiniamo chiedendo che venga recepita al più presto dallo Stato Italiano. L’Onu ha deciso di togliere la marijuana dalla tabella delle sostanze stupefacenti, non deve essere più considerata pericolosa, mentre vanno riconosciuti i benefici terapeutici apportati. In Italia invece si rischia ancora di finire sotto processo e persino in galera!

È una battaglia di civiltà, di legalità, che deve vederci tutti protagonisti, proprio perché a mancare, come al solito è chi sceglie di prendersi la responsabilità, di metterci la faccia, davanti all’ignavia di troppi.

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