Il World Drug Report conferma l’aumento delle droghe e delle proibizioni

In occasione della giornata mondiale per la lotta al narcotraffico, l’Ufficio dell’ONU sulle droghe e il crimine (UNODC) ha pubblicato il World Drug Report 2020 (Rapporto Mondiale sulle Droghe) che raccoglie dati del 2018.

Il Rapporto conferma che circa 269 milioni di persone hanno usato sostanze sottoposte al controllo internazionale in tutto il mondo, un aumento del 30% rispetto al 2009. Di queste, si stima che circa 35 milioni abbiano sviluppato disturbi da uso di droghe. Lo stesso UNODC riconosce quindi che l’87% dei consumatori di droghe nel mondo non ha problemi di salute ma non si pone la domanda se valga la pena criminalizzare tutti i consumatori piuttosto che concentrare sforzi e risorse peraiutare il 13% che invece sviluppa disturbi.

Il rapporto analizza anche l’impatto del COVID-19 sui mercati delle droghe e, sebbene i suoi effetti non siano ancora del tutto noti: la chiusura delle frontiere, le altre restrizioni legate alla pandemia hanno causato carenze di stupefacenti sulle strade di mezzo mondo portando  a un aumento dei prezzi e a una riduzione della purezza delle sostanze.

L’ONU conferma che la cannabis resta la sostanza più utilizzata nel mondo con circa 192 milioni di consumatori. I Consumatori di derivati di oppio sono intorno ai 58 milioni di cui poco meno della metà che consuma oppiacei legali. Si tratta di uno dei consumi maggiormente rischiosi per la salute, specie per le donne. Le anfetamine interessano 27 milioni di persone, l’ecstasy 21 e 19 quello di cocaina.

Alla conferenza stampa di presentazione del volume a Vienna Ghada Waly, che dirige l’UNODC, ha lanciato l’allarme relativo a “gruppi vulnerabili ed emarginati, giovani, donne e poveri” denunciando quanto questi paghino “il prezzo per il problema della droga nel mondo.

La crisi COVID-19 e la recessione economica minacciano ancora di più i pericoli legati alla droga. Quando i nostri sistemi sanitari e sociali sono stati messi a dura prova e le nostre società stanno lottando per far fronte all’emergenza sanitaria, i governi devono mostrare maggiore solidarietà e fornire sostegno, soprattutto ai paesi in via di sviluppo, per contrastare il traffico illecito di stupefacenti e offrire servizi basati sulle evidenze per i problemi derivanti del consumo di stupefacenti e le malattie correlate, in modo da poter raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, promuovere la giustizia e non lasciare indietro nessuno.”

La dichiarazione della Waly conferma come nei Palazzi delle organizzazioni internazionali abbiano perso da tempo il contatto con la realtà che sarebbero chiamati a governare quanto quello col senso del ridicolo. Nel momento in cui occorrerebbe rafforzare solidarietà e cooperazione, piuttosto che andare incontro alle esigenze di chi ha ulteriormente subito il lockdown – o le restrizioni imposte contro il coronavirus – si sposta l’attenzione su una serie di formule stantie che, dopo aver concorso a creare il problema che ancora si vuol affrontare penalmente, dovrebbero nientepopodimenoche concorrere al raggiungimento degli obiettivi dello sviluppo sostenibile!

L’UNODC ritiene, e non in solitudine, che a causa del COVID-19 i trafficanti avrebbero trovato rotte e metodi nuovi e che le le attività di commercio via darknet, nonché le spedizioni via posta, potrebbero aumentare significativamente. Anche se la catena di approvvigionamento postale internazionale venisse interrotta la distribuzione proseguirebbe. La lotta al narcotraffico virtuale è sicuramente al centro delle preoccupazioni internazionali da molti anni, non è escluso che ci sia chi voglia cogliere questa necessità per rafforzare le misure da “stato di polizia” già ampiamente utilizzate in giro per il mondo per mettere sotto controllo comportamenti “senza vittima” in paesi democratici e non.

La pandemia ha anche creato problemi per l’approvvigionamento delle medicine in generale. In particolare il Rapporto segnala una carenza di oppiacei legali, la cui mancanza potrebbe portare le persone a cercare sostanze più facilmente disponibili come alcol, benzodiazepine e favorire un consumo che mischia tutte queste sostanze con droghe sintetiche. Si paventa il ritorno a modelli di utilizzo più dannosi come la via iniettiva o l’iniezione più frequente di sostanze.

Il Rapporto si preoccupa che il post-emergenza sanitaria non inneschi meccanismi di definanziamento delle politiche che ruotano attorno alle “droghe” come avvenuto a seguito della crisi economica del 2008, quando i tagli orizzontali interessarono buona parte degli investimenti per la lotta al narcotraffico, la prevenzione dell’uso di droghe e relativi comportamenti a rischio e i servizi di trattamento farmacologico o la fornitura di naloxone. Anche le operazioni di intercettazione e la cooperazione internazionale potrebbero scalare tra le priorità dei governi facilitando le attività dei dei trafficanti.

Nel merito dei consumi il Rapporto riassume così i numeri:

Un’analisi del periodo 2000-2018 dimostra come il consumo sia aumentato molto più rapidamente nei paesi in via di sviluppo rispetto alle dinamiche dei paesi sviluppati. Senza citare alcuno studio scientifico, ma basandosi sui dati condivisi dai governi, l’UNODC segnala che gli adolescenti e i giovani rappresentano la quota maggiore di chi fa uso di “droghe”, affermando che i giovani sono anche i più vulnerabili agli effetti delle sostanze perché le usano di più e il loro cervello è ancora “in via di sviluppo”.

Tendenze della cannabis

Mentre l’impatto delle leggi che hanno legalizzato la cannabis in alcune giurisdizioni è ancora difficile da valutare, l’UNODC segnala che “l’uso frequente della cannabis è aumentato là dove è stata legalizzata e che in alcune zone i prodotti di cannabis più potenti sono anche i più comuni sul mercato”. Più che una sostanza di passaggio verso le altre, la cannabis resta il motivo per cui si entra nel circuito penale rappresentando oltre la metà dei casi di reati connessi alle “droghe” sulla base di dati provenienti da 69 paesi (su 193!) che coprono il periodo tra il 2014 e il 2018.

Oppioidi farmaceutici per consumo medico

Il rapporto sottolinea inoltre che i paesi a basso reddito continuano a soffrire una gravissima carenza di oppioidi farmaceutici per la gestione del dolore e delle cure palliative. Nel 2018, più del 90% di tutti gli oppiacei farmaceutici disponibili per il consumo medico si trovano in paesi ad alto reddito che ospitano il 12% della popolazione mondiale. Il rimanente 88% della popolazione globale consuma meno del 10% di oppiacei farmaceutici! L’accesso a queste medicine dipende da diversi fattori tra cui legislazione, cultura, sistemi sanitari e pratiche di prescrizione. Infine, si ricorda come la povertà, l’istruzione limitata e l’emarginazione sociale rimangano i principali fattori che aumentano il rischio di disturbi da uso di droghe. I gruppi vulnerabili ed emarginati continuano ad affrontare ostacoli per ottenere servizi di trattamento a causa di discriminazione e stigmatizzazione. Le persone svantaggiate dal punto di vista socioeconomico soffrono un rischio maggiore delle conseguenze da uso problematico di stupefacenti. Se a tutto questo aggiungiamo le ricadute della crisi sanitaria, dall’aumento della disoccupazione alla riduzione dell’offerta di servizi socio-sanitari causate dalla pandemia, è ragionevole ipotizzare ripercussioni sproporzionate sui più poveri rendendoli ancora più vulnerabili al consumo delle sostanze e vittime dei rinnovati metodi di traffico.

Nella sua prefazione al rapporto, la Direttrice Esecutiva dell’UNODC lamenta che “solo una persona su otto che ha bisogno di trattamento legato alle droghe lo riceve”. Non volendo imputare alla direttrice il pensiero che chiunque usi droghe necessiti di cure specifiche, viene di nuovo da chiedersi perché chi ha bisogno di cure (il 13% che sviluppa disordini) non le riceva in modo sistematico anche grazie alle risorse dei programmi internazionali. Forse perché il ruolo dell’UNODC, cioè applicare trattati internazionali che includono la possibilità dell’uso medico-scientifico, continua a non esser giocato in linea con le Convenzioni ma piuttosto per scoraggiare quei paesi che attraverso politiche basate sulle evidenze cercano di migliorare la situazione? Oppure perché si preferisce perpetrare la propria esistenza di tecnici e ci si lamenta che gli altri non fanno bene il proprio lavoro e che quindi il problema resterà sempre irrisolto?

Con questi argomenti e prospettive, più che batter cassa per non abbassare la guardia della cooperazione internazionale contro il narcotraffico andrebbe avviata una valutazione seria del perché siamo in questa situazione che peggiora di anno in anno. Considerato che nel 2021 cadono i 60 anni dall’adozione della prima Convenzione ONU sulle sostanze psicotrope prima qualcuno si pone il problema meglio è, anche perché non è detto che in autunno il virus non torni a infettare…