Il silenzio del Parlamento e i diritti violati

I giorni dell’elezione del Presidente della Repubblica sono quelli delle tattiche e delle indiscrezioni, dei nomi e delle alleanze, delle fumate nere e dei progetti politici futuri che pian piano prendono corpo.

Sono i giorni in cui il Parlamento riacquista una maggiore centralità, dimostrando come sia fondamentale il suo apporto per il corretto funzionamento della vita istituzionale del nostro Paese. Quella centralità nella formazione delle leggi riconosciuta dalla Costituzione e spesso affievolita, negli ultimi anni, dalla pandemia e dal massiccio ricorso allo strumento della decretazione da parte del governo.

È riduttivo, tuttavia, dire che è colpa del Covid se il Parlamento non è in grado di essere maggiormente incisivo nel processo legislativo italiano. Spesso, infatti, sono proprio le Camere a rinunciare alle proprie prerogative, lasciando interi temi in balìa di vuoti normativi che i tribunali e le corti, a suon di sentenze, tentano di colmare. L’ultimo caso sta accadendo proprio questi giorni e riguarda la gestazione per altri altruistica e non commerciale.

La storia è quella di Andrea (nome di fantasia), un bambino di sette anni, nato in Canada grazie al ricorso a questa tecnica nel rispetto delle leggi del paese d’Oltreoceano. Alla nascita, Andrea era figlio del genitore unico che aveva dato i propri gameti per la fecondazione. Rivolgendosi, però, ad un tribunale canadese, la coppia era riuscita a coronare legalmente il proprio sogno di genitorialità, ottenendo la rettifica dell’atto di nascita. Per la legge del Canada, dunque, Andrea è figlio di due padri italiani, ma per il nostro Paese no.

Al momento di trascrivere l’atto di nascita rettificato, il Comune si è opposto. Ne è scaturito un processo, nel quale i genitori di Andrea hanno chiesto che venisse resa esecutoria la sentenza del tribunale canadese, obbligando il Comune alla trascrizione. La Corte d’appello ha dato loro ragione, ma il Ministero dell’Interno ha impugnato la decisione presentando ricorso in Cassazione.

Se appena un anno prima (era il 2019), le Sezioni unite per affermare che un atto di nascita recante l’indicazione di due papà è contraria ai principi dell’ordinamento italiano, in questa circostanza, in Corte di Cassazione  avevano scelto di porre la questione di legittimità costituzionale delle norme che vietano l’inserimento nell’atto di stato civile dell’indicazione del padre intenzionale, ossia quello non biologico.

La sentenza della Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale, con la sentenza 33/2021. La Corte ha deciso di “arrestarsi, e cedere doverosamente il passo alla discrezionalità del legislatore, nella ormai indifferibile individuazione delle soluzioni in grado di porre rimedio all’attuale situazione di insufficiente tutela degli interessi del minore”. Un vuoto che, ad oggi, non si limita a ledere interessi, ma genera discriminazione tra nati in famiglie che li amano ma in cui hanno uno status giuridico diverso perché figli di coppie dello stesso sesso. Ad oggi, il Parlamento ha preferito – come ha fatto e sta facendo per molti altri ambiti (il fine vita ne è una riprova lampante) – seguire la strada del silenzio.

E non c’è peggior silenzio, in una democrazia liberale, di quello di un legislatore che tradisce la propria funzione, assecondando più le logiche di consenso che quelle dello Stato di Diritto.