Il Parlamento faccia valere le sue prerogative in tempo di Covid-19 ma non solo

Martedì 28 aprile, la Corte costituzionale ha pubblicato la Relazione delle attività per il 2019. Un anno che è stato caratterizzato dal dinamismo e della grande apertura della Corte costituzionale alla società civile e alla dimensione internazionale.

“Apertura” è stata la parola d’ordine a palazzo della Consulta. La Corte non ha solo «aperto il palazzo», ma è uscita per farsi conoscere da tutti e per portare ovunque i valori della Costituzione. Poi, improvvisamente, è venuto un momento di stasi e di chiusura, imposto da un frangente drammatico della storia del paese e dell’umanità. Una brusca frenata con l’emergere dell’epidemia di Covid-19.

Anche in questa fase, così come per ciò che avverrà in futuro, il Supremo giudice non ha fatto mancare il riferimento al ruolo cruciale che la Costituzione riveste: è la “bussola che consente di navigare «per l’alto mare aperto» dell’emergenza e del dopo emergenza che ci attende”. La Carta costituzionale, infatti, offre un “equilibrato complesso di principi, poteri, limiti e garanzie”. Investe i diritti e i doveri, che devono trovare sempre e comunque un bilanciamento nell’interesse comune, e richiama tutti gli attori dello Stato alla responsabilità, nel rispetto della “leale collaborazione” e della separazione dei poteri su cui l’Italia si fonda. Quest’ultima questione mi sembra sia particolarmente viva e attuale.

Mi riferisco soprattutto all’affievolimento della centralità del Parlamento, che sta vedendo in queste ore volontariamente ridimensionate tanto le sue prerogative legislative sotto i colpi della pur legittima – sotto il profilo costituzionale – “decretazione” quanto quelle di assemblea democratica votata al confronto. Manca, insomma, quella sintesi e quell’unità che lo stesso Capo dello Stato ha più volte richiamato come indispensabili per superare questo momento nel migliore dei modi. Stupisce come ancora una volta sia la politica a mortificare il ruolo delle Camere, evitando il dibattito.

Non scopriamo, però, nulla di nuovo. Già in passato, infatti, questa stessa classe politica ha rinunciato a far valere le prerogative parlamentari su questioni importanti per la vita di tutti. Quanto è accaduto nel contesto del caso Cappato per l’aiuto fornito a Fabiano Antoniani ne è stato la riprova.

Nella relazione della presidente Marta Cartabia, questa vicenda è portata a modello, sottolineando come sia stata innovativa la via processuale fondata su “due tempi”, nel tentativo di rispettare l’equilibrio tra giustizia costituzionale e spazi della politica.

Il 24 ottobre 2018, infatti, la Consulta aveva emesso l’Ordinanza 207, con la quale ha riconosciuto dei profili di incostituzionalità nell’ambito di applicazione dell’articolo 580 del codice penale, relazionato all’aiuto al suicidio di persone con gravi sofferenze e soggette a terapie di sostegno vitale.

Data la sensibilità del tema, però, era stato sollecitato l’intervento del legislatore, segnalando alcune criticità costituzionali connesse ai reati di istigazione e aiuto al suicidio e fissando undici mesi dopo una nuova udienza di discussione.

Il 25 settembre 2019, la Corte con Sentenza 242, dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli articoli 1 e 2 della legge 219/2017 (la legge sul Testamento biologico) – ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi di cui in motivazione – “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente“.

In questo lungo e coraggioso cammino dei Supremi giudici, a mancare, però, è stata proprio la sponda della politica, che non ha trovato nemmeno un minuto per discuterne.

In questa scelta, il ruolo del Parlamento è stato mortificato due volte: non c’è, infatti, stata quella sponda che per prima la Corte costituzionale ha sollecitato e non si è tenuto conto della partecipazione democratica dei cittadini. Tra le proposte depositate in Parlamento c’era infatti anche Eutanasia Legale, che l’Associazione Luca Coscioni aveva presentato nel settembre 2013 dopo una raccolta firme che aveva coinvolto 67mila persone.

Le parole della Corte costituzionale devono comunque far riflettere sulla necessità di rimettere al centro, nel pieno rispetto della Costituzione, il dibattito democratico. Devono essere uno slancio per una inversione di tendenza che bene farebbe anche per la credibilità delle nostre istituzioni. Nel presente come nel futuro.