I papaveri di Maccarese. Un ricordo di Luisa Panattoni

 

“In 33 anni di vita insieme non c’è stato nemmeno un giorno in cui non siamo stati felici”. Le parole che Sirio – l’amato marito dellla prof.ssa Luisa Panattoni insegnante di Agronomia in diversi istituti romani e da lungo tempo consigliera generale dell’Associazioni Luca Coscioni – ha rivolto alla folla di studenti commossi che erano giunti a salutare la loro professoressa, rivelano, io credo, il senso della vita di Luisa. Una vita piena. Anche, a maggior ragione, dopo la scoperta della sclerosi multipla: la malattia che troppo presto l’ha costretta su una  sedia a rotelle, lasciandole solo l’uso della parola e il movimento del viso. E questo bastava. Perché attraverso il suo viso e i suoi occhi densi e penetranti, Luisa riusciva a comunicare ancora prima di parlare.

Tenace come pochi, Luisa non si è mai data per vinta. Combattente per natura o per vocazione, non saprei, ha affrontato a muso duro la violenza che le nostre amministrazioni, attraverso le barriere architettoniche, scientemente frappongo fra una vita limitante e una vita libera.

Il corpo come messaggio e la malattia come strumento didattico, veicolavano idee, intenzioni e pratiche politiche di altissimo livello.  Questo era Luisa a scuola. Lontana da ogni forma di commiserazione, vicina e soprapposta ad ogni forma di resistenza.

 

 

Ho conosciuto Luisa nel 2007 a Maccarese, alle porte di Roma, a due passi da Fregene. All’epoca insegnavamo entrambi all’Istituto Tecnico Agrario, prima ancora di ritrovarsi nel Consiglio Generale della Coscioni. Passavamo le ore di pausa sotto il portico della scuola a osservare uno sconfinato prato di papaveri sullo sfondo di un casolare colpito dal sole di un maggio decente. È lì che mi piace ricordare Luisa, sorridente e vitale, amorevole e dispettosa, pochi giorni prima di essere trasferiti entrambi senza riuscire a completare una bella amicizia in una frequentazione più intensa.