Cina: il fine-vita volontario ancora lontano

Fine vita volontario in cina

Il tribunale nella provincia di Zhejiang ha condannato tre membri di una famiglia per avere commesso un omicidio, avvelenando la signora Weng. La signora soffriva di una malattia autoimmune e aveva chiesto al genero di comprare un veleno per topi che la permetteva di finire le sue sofferenze causate dalla malattia.

In presenza del marito, la figlia e il genero, l’ha ingerito ed è deceduta. I familiari sono stati condannati da 2 a 5 anni di prigione. Il giudice ha commentato la sentenza, sostenendo che “Dando una pena mite, la società potrebbe erroneamente considerarlo come un incoraggiamento di atti simili. Invece una pena pesante rafforza lo spirito di prudenza”.

Non è il primo caso in Cina. Nel 2009 una donna è entrata in coma improvvisamente. Dopo una settimana dal ricovero, il marito incapace di sopportare le sofferenze della moglie, ha staccato il tubo della respirazione artificiale e la donna è morta dopo un’ora. Il marito è stato condannato a 5 anni di prigione per omicidio predeterminato.

Un sondaggio nel 2013, effettuato dall’Università di Shanghai su 3.400 cittadini di 34 città, ha evidenziato che 70% degli intervistati non era contrario all’eutanasia. Il Prof. Yan Sanzhong dell’Università di Jiangxi spiega la situazione cinese come segue: “La Cina non è ancora pronta per legalizzare l’eutanasia. A causa della mancanza di un sistema globale sociale i cittadini non possono ancora scegliere come e quando morire. Il sistema sanitario è troppo concentrato sulle città sviluppate, che rende difficile per ospedali in aree rurali di essere preparati per prendere decisioni di tale portata”. Aggiunge che esiste il rischio che gli anziani vogliono morire per risparmiare denaro ai figli o al contrario i figli possono essere tentati di uccidere i genitori per scappare dalla responsabilità di curarli.