A cinque anni dal deposito della proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia, in Parlamento il dibattito viene ancora bloccato. “In 5 anni non ne avete discusso 5 minuti”, si leggeva in un manifesto al sit-in organizzato giovedì 13 settembre davanti a Montecitorio.
Se le 67mila firme di cittadini depositate nel 2013 dall’Associazione Luca Coscioni, Radicali Italiani, UAAR e Certi Diritti non hanno scosso i parlamentari della precedente legislatura, nella giornata di giovedì altre 60mila sottoscrizioni sono state consegnate al Presidente della Camera.
La proposta popolare, per essere discussa a Montecitorio, necessita di un gruppo parlamentare che se ne faccia carico. La programmazione del dibattito alla Camera non è automatica come ora avviene al Senato. Con la richiesta di immediata discussione è nato l’intergruppo parlamentare per le scelte di fine vita, gruppo trasversale tra gli schieramenti politici che al momento conta 34 tra deputati e senatori. Nel frattempo continua la disobbedienza civile di Marco Cappato e Mina Welby, che vedrà la Corte Costituzionale esprimersi sulla costituzionalità dell’articolo 580 del codice penale del 1930.
Al momento, in Italia, chi aiuta un malato terminale ad interrompere le proprie sofferenze, magari accompagnandolo in Svizzera – come hanno fatto Cappato con Dj Fabo e Mina Welby con Davide Trentini – rischia fino a 12 anni di carcere. Ogni giorno ci sono persone malate che si suicidano in Italia nelle condizioni più terribili, senza poter ricorrere ad un percorso dignitoso come quello di cui si può godere nei paesi in cui eutanasia e suicidio assistito sono legali.
Secondo l’ISTAT nel solo 2010 il 46% dei suicidi in Italia ha avuto come movente la malattia.
Sono queste persone, in molti casi, quelle alle quali la legge italiana nega la possibilità di essere accompagnati alla fine della vita senza soffrire – con la sicurezza data da un percorso fatto di medici e psicologi – e condanna al carcere chi li aiuta.
Dal marzo 2013 a oggi sono 570 le persone che hanno contattato i disobbedienti Cappato e Welby per ricevere aiuto al suicidio in Svizzera. Sono persone che devono affrontare costi proibitivi e – quando se lo possono permettere e la geografia italiana glielo permette – devono affrontare l’umiliazione dell’esilio per poter morire.
La proposta popolare, assegnata alla Commissione Giustizia e Affari Sociali, parte dal presupposto che, come per l’aborto, anche per l’eutanasia legalizzare significa governare una realtà sociale invece di lasciare campo libero ad abusi, violenze e disperazione.
I numeri ci sono nelle Commissioni parlamentari.
Quella che manca è la volontà politica di affrontare una questione che vede però il favore di oltre il 65% dei cittadini italiani. Non serve infatti l’esecutivo per iniziare una discussione che il Parlamento può avviare in autonomia. Già nella precedente legislatura, con il Testamento Biologico, si è arrivati all’approvazione della legge grazie a una maggioranza parlamentare diversa da quella di Governo. Oggi, nelle Commissioni competenti, i deputati di Movimento 5 Stelle e Partito Democratico sarebbero sufficienti per iniziare a discuterne.
Non sono i numeri, dunque, a bloccare la discussione, ma la volontà politica di affrontare un dibattito forse scomodo, talvolta divisivo, ma sicuramente urgente e necessario per centinaia di malati terminali in Italia.
Membro di Giunta ALC. Dal 2013 coordina la campagna Eutanasia Legale e le proposte regionali Liberi Subito. Ha organizzato la raccolta firme per la proposta che ha portato alla legge 219/2017. Nel 2020 con una disobbedienza civile si è autodenunciato per coltivazione di cannabis per uso personale. Autore di “Testamento biologico e consenso informato“ e “Io Coltivo – Diario di una disobbedienza”.