Marco Perduca racconta la quinta Breaking Convention sugli psichedelici per la rubrica di Fuoriluogo su il manifesto del 4 settembre 2019.
Quasi a celebrare il cinquantesimo anniversario di Woodstock, la quinta Breaking Convention, la conferenza europea multidisciplinare sulla coscienza psichedelica, si è chiusa il diciotto agosto all’Università di Greenwich di Londra dopo che per tre giorni oltre centocinquanta oratori hanno affrontato tutto ciò che ruota attorno a piante e sostanze spesso proibite.
Lanciata nel 2011 dallo psichiatra e psicoterapeuta Ben Sessa, e convocata biennalmente, la Breaking è un festival dalle mille sfaccettature che prevede simposi scientifici sulle più recenti e promettenti, ricerche oltre che approfondimenti innovativi su scienze umane e sociali, diritto, politica, arte, storia e filosofia che hanno a che fare con gli psichedelici. Tra i sostenitori storici della Convention si segnala la Beckley Foundation e Maps (Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies), quest’ultima in fase tre di trial clinici per la cura di stress post-traumatico con psicoterapie aiutate dall’Mdma.
Sessa collabora anche con l’equipe di Robin Carhart-Harris e David Nutt che ad aprile scorso all’Imperial College di Londra ha lanciato il primo centro istituzionale al mondo per la ricerca sugli psichedelici, dopo aver portato avanti per anni studi ed esperimenti con Lsd e psilocibine con problemi legali e di disponibilità di fondi. Pur focalizzati sulle ricerche, gli organizzatori della Convention hanno sempre tenuto le porte aperte anche ad altri tipi di esperienze coinvolgendo persone che sperimentano su se stesse, ricercatori autodidatti, appassionati o esponenti di culture e tradizioni indigene. Il festival londinese ha un corollario di eventi che, grazie agli psichedelici, suscitano e accompagnano viaggi mentali, innescano creatività, spiritualità e positività individuali e collettive.
“Microdosing” e self-medication sono alcune delle parole chiave della Convention, anche se Nutt e i suoi collaboratori il 15 luglio scorso hanno lamentato scarse evidenze sull’impiego terapeutico di piccole dose di Lsd, mescaline o psilocibine. “Non esiste uno standard sulla quantità assunta né protocolli definiti” si legge nel loro lavoro: che però, piuttosto che archiviare il tutto come amatoriale, aneddotico e osservazionale, auspica studi sistematici lanciando, al contempo, una ricerca di volontari per trial clinici sulla depressione.
Cerimonie, gong, visioni, piante, chimica, antropologia, etno-botanica, archeologia musica e attivismi costruiscono la multidisciplinarietà delle Breaking nel perseguimento di quella Unità (Onennes) psico-culturale, e sempre più “politica”, che si interroga sulle possibilità di una lotta trans-nazionale anti-proibizionista. La lotta contro la perdita di autodeterminazione – a livello individuale e dei popoli indigeni – , la penalizzazione di scelte culturali e di opzioni “terapeutiche”altre, l’attacco alla natura e alla bio-diversità, sono i temi chiave di questo movimento che propone un “rinascimento psichedelico” pro-attivo.
In Italia l’unica conferenza interamente dedicata a queste “terapie stupefacenti” l’ha organizzata nel 2017 l’Associazione Luca Coscioni all’Università di Torino, città dove dal 1990 è attiva la Società Italiana per lo Studio degli Stati di Coscienza. Dall’inizio dell’anno è in via di costituzione una Società Psichedelica Italiana. A Londra c’era un unico oratore italiano: Giorgio Samorini.
Alla fine di ogni conferenza viene pubblicato un volume contenente gli interventi più significativi dell’incontro. Si tratta di un codice miscellaneo che contribuisce a diffondere il verbo psichedelico e a rispettare il diritto internazionale; anche perché, pochi lo notano, la Convenzione Onu del 1961 sulla carta dovrebbe favorire l’accesso per fini medico-scientifici alle piante mediche, psichedelici compresi, seppur elencate nelle tabelle delle sostanze proibite.