“Il World Drug Report 2023 [presentato all’Ufficio sulle droghe e il crimine delle Nazioni unite di Vienna] non lascia spazio a dubbi: la guerra alla droga danneggia, non aiuta la salute pubblica. La paura e lo stigma spingono le persone alla clandestinità, lontano dai servizi e alla fine alimentano un tragico aumento del consumo di droga e dei decessi”. Non è quanto Riccardo Magi, segretario di Più Europa, o Antonella Soldo, Presidente di Meglio Legale, hanno fatto notare lunedì 26 giugno alle Presidente del Consiglio in coda all’incontro del Governo per la “giornata contro le droghe”, bensì il tweet con cui l’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani Volker Türk ha salutato la pubblicazione del Rapporto annuale sullo stato dell’arte degli stupefacenti nel mondo.
Türk ha poi esortato i governi a “aiutare e non punire” e a riformare le politiche sulle droghe”. Nelle ore in cui nella sala dei Gruppi della Camera dei Deputati andava in scena un copione trito e ritrito basato su interventi istituzionali che potevano esser stati pronunciati oltre 30 anni fa e concluso da una Giorgia Meloni intenta in una delle sue tipiche interpretazioni da filodrammatica de noantri, alle Nazioni Unite si presentava il Rapporto mondiale sulla droga 2023, il documento che annualmente raccoglie le informazioni fornite dagli Stati Membri dell’Onu in materia di controllo delle sostanze stupefacenti contenute nelle tre Convenzioni internazionali del’61, ‘71 e ‘88.
Il primo dato in perfetta linea con quanto da sempre contenuto in tutti i Rapporti è l’aumento dell’offerta che, per l’anno scorso, ha toccato cifre record in tutto il pianeta grazie anche a reti di traffico sempre più agili che sfruttando le crisi pandemiche, climatiche, migratorie e dei conflitti armati in corso sono riuscite a intrecciarsi in una fitta rete di interessi locali e diffusi mettendo a dura prova le attività delle forze dell’ordine nonché le risposte dei servizi sanitari.
I dati dall’Onu segnalano che nel 2021 il numero di persone che si iniettano droghe ha toccato i 13,2 milioni, il 18% in più rispetto a quanto stimato in precedenza. A livello globale, oltre 296 milioni di persone hanno fatto uso di sostanze illecite con un aumento del 23% rispetto al decennio precedente. Il numero di persone che soffrono di disturbi da uso problematico di droghe è salito a 39,5 milioni, un aumento del 45% in 10 anni. La domanda di trattamento dei disturbi correlati a questi problemi di salute rimane in gran parte insoddisfatta – solo una persona su cinque è in cura con enormi differenze nell’accesso ai servizi tra nord e sud del mondo ma anche internamente a certe regioni, Europa compresa.
Le popolazioni giovanili sono le più vulnerabili all’uso di droghe e sono anche le più gravemente colpite dai disturbi da uso problematico di sostanze in diverse regioni. In Africa il 70% delle persone in cura ha meno di 35 anni. Il Rapporto evidenzia anche come le disuguaglianze sociali ed economiche guidino – e sono guidate da – sfide legate al narcotraffico: la devastazione ambientale e le violazioni dei diritti umani causate dalle narco-economie e il crescente predominio delle droghe sintetiche in particolare in Asia.
Il Rapporto contiene un capitolo speciale dedicato al traffico di stupefacenti e i crimini che colpiscono l’ambiente nel bacino amazzonico, nonché sezioni sulle sperimentazioni cliniche che coinvolgono sostanze psichedeliche e l’uso medico della cannabis; uso di droghe in contesti umanitari; innovazioni nel trattamento della tossicodipendenza e altri servizi e droghe e conflitti.
Secondo le Nazioni Unite la salute pubblica, la prevenzione e l’accesso ai servizi terapeutici devono essere prioritari in tutto il mondo “altrimenti le sfide legate alla droga lasceranno indietro sempre più persone”. Essendo comunque frutto di un’istituzione che ritiene le Convenzioni proibizioniste come le pietre miliari del “controllo internazionale delle droghe”, il rapporto sottolinea la necessità di risposte delle forze dell’ordine per tenere il passo con modelli di business criminali agili nonché con la proliferazione di droghe sintetiche a basso costo facili da immettere sul mercato.
Eppure, almeno sulla carta, le Convenzioni dell’Onu sulle sostanze psicotrope erano state adottate per garantire l’accesso a piante e molecole con alto potenziale terapeutico. L’interpretazione restrittiva e l’approccio securitario che per oltre mezzo secolo è stato privilegiato dagli Stati Membri e dalle Nazioni unite stesse ha fatto sì che il diritto alla salute non sia garantito a molte persone che fanno uso di droghe. Non solo, persistono grandi disuguaglianze nell’accesso e nella disponibilità di farmaci controllati per uso medico, in particolare per la cura del dolore. La disparità è particolarmente diffusa tra il nord e il sud del mondo e tra le aree urbane e rurali: circa l’86% della popolazione mondiale di chi vive in paesi con medio o basso reddito ha un accesso troppo limitato agli oppioidi farmaceutici.
Nel frattempo, grazie a organizzazioni non governative e dipartimenti universitari in particolare negli USA e Regno Unito, la nuova ricerca sull’uso di droghe controllate, come gli psichedelici per trattare condizioni di salute mentale e disturbi da uso di sostanze, mostra risultati promettenti. A Denver, a poche ore dalla presentazione del Rapporto, si teneva un mega-incontro promosso dalla Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies dove migliaia di esperti, militanti della scienza psichedelica e psiconauti hanno condiviso i progressi dell’impiego terapeutico di molecole tradizionali o recenti.
Pur riconoscendo i passi avanti psico-terapeutici degli psichedelici, il Rapporto mondiale mette inoltre in guarda dal potenziale ritorno a quanto accadde negli anni ‘60 scrivendo che “senza strutture ben progettate e adeguatamente studiate, potrebbe esserci un accesso troppo limitato per coloro che necessitano di cure – causando potenzialmente il passaggio dei pazienti a mercati illegali – o, al contrario, le sostanze psichedeliche potrebbero essere dirottate per uso non medico”.
In merito alle discriminazioni il documento evidenzia che alcune popolazioni impoverite e vulnerabili, come quelle nell’area di confine tra Brasile, Colombia e Perù, sono intrappolate in aree rurali con un’alta prevalenza di reati legati alla droga. Le loro posizioni remote rendono estremamente difficile beneficiare dei servizi di trattamento o dei meccanismi disponibili per il rispetto dello Stato di Diritto. L’economia della droga nel bacino amazzonico sta esacerbando ulteriori attività criminali – come il disboscamento illegale, l’estrazione illegale, l’occupazione illegale di terreni, il traffico di animali selvatici – danneggiando l’ambiente della più grande foresta pluviale del mondo. I popoli indigeni e altre minoranze che vi vivono stanno subendo le conseguenze di questa convergenza criminale, tra cui lo sfollamento, l’avvelenamento da mercurio e l’esposizione alla violenza. I difensori dell’ambiente sono a volte specificamente presi di mira da trafficanti e gruppi armati.
La guerra in Ucraina ha sostituito le rotte tradizionali della cocaina e dell’eroina aprendo le porte dell’Africa orientale e occidentale per l’ingresso delle sostanze che dall’America latina e l’Asia centrale sono destinate al mercato europeo. Si registrano anche segnali che l’aggressione russa potrebbe innescare un’espansione della produzione e del traffico di droghe sintetiche, dato il know-how esistente e gli ampi mercati di droghe sintetiche che si stanno sviluppando nella regione.
Nel Sahel, il traffico illecito di droga finanzia gruppi armati e insurrezionali e reti terroristiche, mentre ad Haiti i trafficanti di droga approfittano dei confini porosi per rafforzare le loro attività, alimentando le crescenti crisi del paese.
Il documento dell’Onu affronta poi il “fallimento dei fallimenti”, senza chiamarlo naturalmente così, della produzione di oppio afgano auspicando che, a seguito del divieto di coltivazione imposto manu militari dai talebani in questi mesi, si potrebbero registrare riduzioni significative per tutto il mondo della materia grezza per l’eroina. Una situazione simile si era verificata poco prima e poco dopo l’11 di settembre ma durò giusto qualche mese: una minima parte dei raccolti venne distrutta, il grosso fu nascosto nelle caverne ereditate dall’invasione sovietica e nel giro di un paio d’anni si tornò al business as usual grazie alle scorte e le nuove piantagioni nella regione del Helmand.
All’Onu, che già ai tempi della direzione di Pino Arlacchi dell’Ufficio di Vienna aveva salutato con favore la jihad contro il papavero, si ritiene che una possibile riduzione significativa della coltivazione illegale di oppio in Afghanistan avrebbe ripercussioni globali. Il problema però, come rilevato onestamente dal Rapporto, è che quasi un milione di contadini si troverebbe senza mezzi alternativi per generare reddito visto il modo con cui i talebani (non) governano il paese dove occupano tutti i gangli del potere.
Se individuare campi di papavero è facile grazie a foto satellitari o voli delle unità speciali anti-droga, l’effettiva eradicazione del papavero in Afghanistan potrebbe però rafforzarne le capacità produttive di metanfetamine. La produzione delle pasticche è più facile e veloce e, anche per questi motivi, ha trasformato radicalmente molti mercati in giro per il mondo. Chi produce metanfetamine – la sostanza sintetica più diffusa al mondo – riesce a eludere i controlli e i sequestri utilizzando tipi di sintesi chimica innovativi, basi operative piccole e diffuse sul territorio e precursori non controllati dalle Convenzioni.
Infine il rapporto affronta la strage degli oppiacei negli USA. Il fentanyl ha drasticamente alterato il mercato degli oppioidi in Nord America con conseguenze disastrose: quasi 90.000 decessi in quella parte del mondo.
Malgrado la sessione speciale dell’Assemblea generale convocata a Palazzo di Vetro nel 2016 per parlare di stupefacenti avesse chiarito che le politiche di controllo delle sostanze nelle tabelle delle Convenzioni dovessero rispettare i diritti umani, non solo non si riesce a contenere il fenomeno delle “droghe” illecite in nessuna parte del mondo, ma si continuano a violare diritti civili, economici, sociali, culturali e, ancora oggi in alcuni stati anche negli USA, politici. Il tasso d’incarcerazione per reati connessi alle “droghe” è del 20% (30% in Italia) mentre nei paesi dove l’Islam è la religione di stato si è tornati a uccidere anche chi fa uso personale.
Di fronte a questo stato di cose c’è ancora chi, come la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, e molti suoi colleghi in Europa, ritiene che la tolleranza zero debba esser riproposta come risposta all’ubiquità degli stupefacenti incolpando mai sperimentati modelli di legalizzazione di averci fatto invadere da sostanze che sempre, solo e comunque provocano morte. Parole che confermano la strutturale inadeguatezza di chi non solo non conosce questo fenomeno ma ritiene di non dover prendere in considerazione le evidenze di modelli regolamentatori che iniziano a dare risultati di segno diametralmente opposto.