Donne e Scienza: un rapporto difficile?

Lo scorso ottobre l’Istat ha pubblicato il report annuale sui livelli di istruzione e partecipazione alla formazione relativo all’anno 2020.

Dati alla mano, il nostro paese ne esce ammaccato sia per quanto riguarda il livello di istruzione secondario che terziario e di conseguenza la formazione continua anche in età adulta che era e rimane uno degli obiettivi del Consiglio di Lisbona nel 2000. Una formazione che avrebbe dovuto essere funzionale alla creazione di una

“economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.”*

La coesione sociale, diremmo quasi per definizione, non può prescindere dalla garanzia delle pari opportunità di accesso al mondo della formazione, alla carriera e ad una adeguata e non discriminatoria retribuzione (migliori posti)

Il confronto con gli altri paesi europei ci vede perdenti su più fronti tranne su uno – inaspettato – che riguarda proprio l’accesso delle donne italiane ai corsi di laurea STEM.

Ma procediamo con ordine e con, prima, le brutte notizie.

Rispetto alla media dell’Europa a 27 in Italia abbiamo meno diplomati (scarto con il resto del continente di quasi 20 punti percentuali) e laureati (scarto del 12%) e, come se non bastasse, tassi di incremento del livello di formazione positivi ma lenti e, anche in questo caso, molto al di sotto del trend europeo. Ciò significa, in prima istanza che, vista la tendenza, il gap non è destinato a ridursi e che di conseguenza inciderà ulteriormente sulla competitività del nostro paese a livello economico e non solo.

Però, se vogliamo aggrapparci a un barlume di speranza (o forse di magra consolazione), nonostante questi tenui incrementi, il report dell’Istat mette nero su bianco che le donne italiane hanno livelli di istruzione molto più alti dei loro connazionali uomini. Il 65,1% delle donne del bel paese possiede un diploma contro il 60,9% dei maschi, uno scarto del 4% che nella media dei paesi europei è dell’1%. Anche riguardo la formazione universitaria si passa da un 23,0% di donne in possesso laurea al 17,2% degli uomini; una distanza molto più marcata rispetto a quella esistente tra maschi e femmine del resto dell’unione. Il trend si mantiene simile persino se si getta uno sguardo sulle percentuali delle persone straniere presenti nel nostro paese.

La situazione si capovolge totalmente, però, quando si parla di corsi di laurea STEM.

Nel 2020 solo una persona su quattro ha una laurea in materie STEM, andando alla suddivisione di genere il titolo è detenuto da un ragazzo su tre e da una ragazza su sei. Centro e Sud Italia si danno spalla mentre il nord stacca di circa 4 punti percentuali creando un maggiore divario tra laureati e laureate STEM (uno stacco di circa il 28% mentre per le altre aree del paese si riduce alla metà). È davvero molto: perché significa che in sostanza in nord Italia dici STEM dici uomo. Ma, e qui è la sorpresa: la componente di italiane che sceglie una materia STEM è maggiore rispetto alle laureate di qualsiasi altro paese europeo e come effetto secondario la forbice maschi-femmine laureati in materie STEM è molto ridotta rispetto agli altri 27 paesi dell’unione. Un sorriso dentro al pianto.

Questo dovrebbe rallegrarci? Non credo. In una società globalizzata che si sostanzia di scambi e collaborazioni, di ricerca fatta su dati aperti e accessibili a tutti e tutte non basta essere i “meno peggio”, non è sufficiente tirare a formare. Parlare di formazione e di scienza italiana è, prima di tutto, un limite epistemologico e in più, sul piano puramente pratico ci pone davanti alla frustrazione della impossibilità di processare adeguatamente le informazioni e di vedere una rete laddove c’è un groviglio. Se i laureati in materie STEM sono già pochi, se il divario di genere medio europeo è spaventoso (ogni 100 laureati STEM solo 36 sono donne), di tutta evidenza gli obiettivi di Lisbona 2000 sulla coesione sociale e il target della Strategia Europa2020 sono stati “bucati”.

Le ragioni che portano, di fatto, a un quadro come quello che l’ISTAT registra sono molteplici, differenziate e, purtroppo, spesso concomitanti. C’è certamente un vento culturale che porta a concepire le materie scientifiche come qualcosa di più “appropriato” per gli uomini che non per le donne. Ancor di più c’è un vento, ormai costante, che porta a considerare l’ignoranza scientifica tutto sommato un peccato veniale se non, perfino in situazioni insospettabili, un vezzo. Per studiare la matematica, la fisica, la biologia serve fantasia, onestà, rigore e una profonda e cocciuta dedizione, caratteristiche queste che sono spesso più nei tratti delle studentesse che degli studenti. Indubbiamente la campana dell’incasellamento dei ruoli sociali (contro la coesione sociale) suona forte ma altrettanto forte risuona l’urgenza di un ammodernamento e globalizzazione dei sistemi di istruzione allo scopo, anche, di creare pari opportunità.

E ciò che in scala cerca di fare l’Associazione Luca Coscioni con le sue battaglie transnazionali e anche portando ScolarMente nelle scuole ed è ciò che nel webinair che terremo in occasione Internazionale delle Donne e Ragazze nella Scienza dell”11 febbraio, cercheremo di raccontare.

 

*https://www.europarl.europa.eu/summits/lis1_it.htm