Dal diritto di Fabo al diritto di tutti

Dj Fabo

Si può scegliere di morire, lo dice la nostra Costituzione. Già la legge 219/2017 prevede il diritto di sottoporsi a sedazione profonda continua; ora la Consulta afferma che non deve esistere un ostacolo assoluto, tutelato penalmente, alla realizzazione della volontà di rifiutare il decorso più lento provocato dall’interruzione delle forme di sostegno vitale, quando questo decorso più lento sia valutato dal malato come contrario alla propria idea di morte dignitosa.

È un diritto netto, quello disegnato dall’ordinanza 207/2018 della Corte Costituzionale, bilanciato dall’equivalente diritto del malato a ricevere ogni cura, ogni assistenza ed ogni informazione, così da precludere che una decisione di assoluta gravità sia assunta in condizioni di disagio/abbandono/vulnerabilità, o anche sotto la pressione di chi abbia ragioni di personale tornaconto.

Nel caso di Dj Fabo, impossibilitato dalla malattia ad assumere autonomamente il farmaco eutanasico, nel caso cioè specificamente sottoposto al vaglio della Consulta, vi era la necessità di un aiuto materiale: possiamo quindi già oggi dire che la condotta di Marco Cappato è stata legittima.

Tuttavia la Corte ha dovuto rilevare che rimane un ambito privo di disciplina legale. Vanno infatti regolamentate le procedure che impediscano abusi nei confronti dei pazienti, e questo implica scelte discrezionali che competono al legislatore.

Per questo motivo – adottando innovativamente un metodo di dialogo istituzionale largamente presente nell’esperienza costituzionale tedesca – la Corte Costituzionale ha rinviato di un anno la decisione sul processo Cappato, invitando il Parlamento ad approvare una legge che concretizzi il bilanciamento fra il diritto alla libera scelta ed il diritto all’assistenza ed all’informazione.

I principi della legge che si auspica sono chiari: l’autodeterminazione è riconosciuta alla persona libera e consapevole, che si trovi vittima di una patologia irreversibile con conseguenti sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili, tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale.

Il quadro definito della Corte Costituzionale è indiscutibilmente positivo, ed il Parlamento ha il dovere morale, ancor prima che istituzionale, di discutere ed approvare la legge sull’eutanasia. Ma è necessaria la massima attenzione affinchè si evitino trappole ed ostacoli nascosti.

La procedura di accertamento delle condizioni del paziente deve essere semplice e rapida, senza appesantimenti apparentemente burocratici ma in realtà finalizzati a rendere difficoltoso, se non impossibile, l’esercizio dell’autodeterminazione.

Soprattutto si dovrà dare la massima considerazione:

  1. alla libertà del paziente di scegliere il medico/la struttura sanitaria cui rivolgersi, non restringendo il campo a strutture pubbliche (anche paralizzabili con l’abuso dell’obiezione di coscienza…), nel rispetto del principio del rapporto fiduciario che deve esistere fra il paziente e chi lo cura;
  2. alla valutazione della sofferenza psichica, indotta (ma non direttamente effetto) della patologia irreversibile, la cui intollerabilità deve essere giudicata dal paziente libero ed informato, e non da altri;
  3. alle situazioni – esistenti – di persone che richiedano la possibilità di ricorrere all’eutanasia non nell’immediato, ma come possibilità concreta e rapidamente attuabile, come difesa terapeutica a fronte della sofferenza psichica di non poter decidere liberamente della propria morte, del giorno, del luogo.

A ben vedere, sono esattamente i termini previsti dall’articolo 3 della proposta di legge di iniziativa popolare che tanti di noi hanno firmato.

Infine, il nemico invisibile: in tempi di populismo montante, il linguaggio politico si imbelletta, si parla sempre e soltanto del buono, del bello, del giusto. La narrazione fiabesca della politica esclude  il negativo, il dolore, la malattia, figuriamoci la morte (“tanto si può morire quando si vuole, basta chiamare il medico amico a casa…”).

Ma questa non è cultura politica democratica, è demagogia e ricerca del consenso a prescindere.

La forza di Fabo, prima di lui di Welby e di Englaro,e di tanti altri, è stata al contrario quella di trasformare il dolore di un caso individuale in una battaglia per il diritto di tutti.

Non dobbiamo dover essere costretti a ricorrere ogni volta ai tribunali, anche se è vero che in quelle aule durezze della vita non sono mascherate e cancellate. La scelta di vita e di cura è un diritto di tutti, per questo deve essere legge, per questo l’eutanasia dovrà essere dichiarata legale.