Perché occorre la conferenza nazionale sulle droghe

Conferenza nazionale sulle Droghe

L’alzata di scudi contro la delega sulle politiche “antidroga” alla Ministra Fabiana Dadone conferma che quando c’è chi da anni propone riforme per ridurre i danni e i rischi del proibizionismo indica la luna, c’è sempre chi, i conservatori o certa stampa, guarda solo il dito e non alle cause – che nel merito, e in buona parte, sono rintracciabili nel rispetto del Testo Unico sulle droghe del 1990.

Con l’eccezione del Presidente della Commissione Giustizia della Camera Mario Perantoni (M5S), Riccardo Magi (Radicali italiani) e Benedetto Della Vedova (+Europa) nessuno si è schierato a favore della delega o del perché essa sia centrale per il problema “droghe in Italia”. Anche chi potrebbe esser a favore di un cambio di approccio o di politiche è restato zitto. Purtroppo non è una novità. Forse perché si ritiene che il problema non sia una priorità, forse perché non lo si affronta nella sua complessità, ma il silenzio politico, come la storia ci insegna, genera mostri, mostri contro cui ancora oggi dobbiamo lottare.

Nel rispondere a una lettera inviata al Governo a nome degli oltre 400 digiunatori che sostengono Walter De Benedetto, accusato di coltivazione domestica di cannabis per alleviare i dolori dell’artrite reumatoide, la Ministra Dadone ha annunciato l’intenzione di procedere quanto prima, compatibilmente con l’emergenza sanitaria, a organizzare la Conferenza Nazionale sulle droghe – il luogo istituzionale deputato alla valutazione del Testo Unico e dell’impatto delle politiche che ne derivano.

Pare quasi impossibile, ma un incontro ritenuto così importante, specie da chi sostiene che la droga sia una “emergenza” permanente e che occorra combattere la “cultura dello sballo”, non si tiene dal 2012! La legge prevede che il consesso si convochi ogni tre anni, l’ultimo si è tenuto nel 2009, ma se si guarda alle ultime due riunioni si capisce che la mera convocazione di una riunione istituzionale per dar ragione a cose che non funzionano non significa rispettare lo spirito della legge e forse neanche il testo, anzi! 

Acquisita la decisione della Ministra di avviare il processo di organizzazione dell’agenda della Conferenza Nazionale sulle droghe, nei lavori preparatori occorre coinvolgere malati, persone che usano sostanze, le associazioni della società civile ed esperti internazionali. Limitare la partecipazione alle parti istituzionali delle amministrazioni coinvolte non farebbe affrontare il fenomeno nella sua complessità e, soprattutto, non consentirebbe un confronto con molti dei diretti interessati sull’impatto delle politiche antidroga che vengono rinnovate automaticamente da oltre 30 anni. Per questi motivi l’occasione va sfruttata in tutte le sue potenzialità per mettere punti fermi circa il passato e guardare laicamente al futuro in un momento storico in cui in giro per il mondo stanno cambiando radicalmente molte cose intorno alle “droghe”. 

Per prima cosa occorrerebbe valutare l’impianto generale dell’approccio: se dopo tutti questi anni le politiche “anti” droga non hanno fatto altro che ingigantire le dimensioni del fenomeno e aggravare le ripercussioni negative in termini di violazioni di diritti umani e di costi del “controllo”, probabilmente qualche cosa che non va c’è e va individuato dove questa sia. Se dovessimo giudicare gli sviluppi positivi là dove si è avviato a legalizzare, almeno la cannabis, si potrebbe arrivare alla conclusione che regolamentare sia meglio che vietare. Ma se anche non si fosse d’accordo con queste riforme radicali, trasformare quel “anti” con “sulle” droghe potrebbe essere un piccolo significativo passo avanti relativamente alle politiche che in Italia si portano avanti per inerzia da oltre 30 anni. 

A seguito del voto dell’ONU che nel dicembre scorso ha cancellato la cannabis dalla IV Tabella della Convenzione Unica sulle droghe, tra le questioni più urgenti c’è quella di rivedere quante delle sanzioni applicate fino a oggi trovano ancora giustificazione in questo nuovo scenario in termini di obblighi internazionali. Allo stesso tempo pare indeferibile una valutazione del contesto nazionale attuale in cui circa un terzo della popolazione ha provato sostanze illecite, specie se leggere, mentre otto milioni di persone le usano con una certa frequenza. Se confrontassimo i numeri prodotti annualmente dal Centro europeo di Lisbona per le droghe e le dipendenze con quelli del consumo problematico italiano incrociandoli con l’impianto normativo nazionale vedremmo che quel che è diventato un elemento importante della quotidianità nel nostro paese continua a esser trattato come un problema di salute e/o ordine pubblico. 

Questo vuol dire condonare o, come si legge in giro, incitare questo tipo di consumi? Questo vuol dire prendere atto di qualcosa che esiste (da millenni!) e che in virtù di sanzioni penali e amministrative ha reso pericolosa e dannosa per la salute la convivenza con questo tipo di sostanze. Lasciando da parte la visione che si ha dello Stato e del suo ruolo di “educatore”, non si tratta di esprimere giudizi morali a favore o contro “la cultura dello sballo” (altra formula di linguaggio immancabile quando si parla di certe cose) prodotta dal consumo di sostanze psicoattive che non sono prodotti tipici – come il vino che proteggiamo con etichette e denominazioni di origine controllata di ogni tipo e che rappresenta una voce importante della bilancia commerciale nazionale – si tratta di trovare regole che vadano incontro a libere scelte di consumo consapevole, stili di vita, capacità imprenditoriale e opportunità commerciali. 

È chiaro che ogni tipo di sostanza ha caratteristiche e problematicità peculiari che necessitano regole di tipo diverso, ma legalizzare la cannabis, promuoverne l’uso terapeutico per come suggerito dalle più recenti ricerche internazionali, regolamentare il consumo psico-terapeutico e non degli psichedelici e non prevedere il carcere per chi detiene e usa le altre sostanze stupefacenti sarebbe un primo cambio di scenario politico-normativo con potenzialità enormi in termini di libertà, rispetto dei diritti umani e normalizzazione di un mercato che a oggi ha arricchito solo la criminalità.    

La Ministra Dadone è stata “accusata” d’esser antiproibizionista, nelle reti di chi agisce per riforme radicali in materia di politica sulle “droghe” nessuno se n’era accorto, ma ancora una volta il problema non è questo, il problema resta il fatto che conservatori o progressisti non si sono mai fatto carico di valutare come mai siamo arrivati ad avere oltre un terzo dei detenuti per violazioni della legge sulla droga, un numero sproporzionato rispetto ai reati previsti dal nostro codice ma nulla a fronte della diffusione del consumo di sostanze illecite. In pochissimi hanno dedicato del tempo per capire come mai la rete di servizi pubblici sia stata progressivamente depotenziata (se non smantellata) a favore di un privato a volte dalle dubbie competenze medico-scientifiche. 

Tutti questi temi devono rientrare nell’agenda ufficiale della Conferenza nazionale sulle Droghe, e perché siano affrontati nel dettaglio devono esser sviscerati a fondo con contributi indipendente e internazionali. Arrivare alla conclusione che occorrono campagne di prevenzione sarebbe l’ennesima presa in giro nei confronti di chi, spesso contro politiche violente, si è autogovernato e autosoccorso in momenti drammatici.