Chi era Marco Pannella, per me

Chi era Marco Pannella? Io non l’ho conosciuto davvero, e forse non sono il più adatto a rispondere a questa domanda. Oggi, nel ricordarlo a cinque anni dalla sua morte, il massimo che posso fare è raccontare chi è stato Pannella per me, che ho avuto soltanto la fortuna di incrociarlo per un breve tratto di strada.
La strada era quella della vita e della politica radicale, che per lui erano fuse in un’unica inseparabile dimensione, e non c’era bisogno di conoscerlo a fondo per capirlo. Te ne accorgevi dal suo modo di trattare la politica a partire dai temi che toccano il vissuto delle persone: il divorzio, l’aborto, le droghe, l’obiezione di coscienza, l’eutanasia, la prostituzione, la sessualità. Tutte questioni così personali, intime, che non avresti mai detto potessero avere a che fare con la politica. E invece lui ti insegnava che sì, che persino il corpo, la nostra parte più materiale, poteva diventare uno strumento al servizio di una lotta politica attraverso la nudità, gli scioperi della fame e della sete. Perché la politica è quella cosa che “affonda nelle nostre notti oltre che nei nostri giorni”, si nutre dei drammi e delle gioie e delle vite delle persone per cercare di organizzarle nel migliore dei modi possibili, per renderci tutti un po’ più liberi e – per quel che si può – un po’ più felici.

 

Se poi avevi la fortuna di incontrare Marco Pannella di persona, il confine tra l’uomo e il politico sembrava ancora più labile – ammesso che esistesse davvero un confine. Bastava guardare i dettagli: il tono di voce che si alterava in un impeto di passione durante le riunioni di partito, come non avevi visto fare neanche nei più colorati litigi in famiglia; le risposte incazzate a chi si permetteva di dargli del lei invece del tu, una convenzione linguistica evidentemente da superare, come avevano già capito gli anglosassoni (una volta di più in anticipo, nella grammatica come nella politica); le boccate di sigaro all’anice che affumicavano l’aria della stanza, proprio alle spalle del cartello “vietato fumare” (non era in fondo un atto politico anche quello?); gli sguardi attenti e indagatori che potevano cadere anche su di te, l’ultimo degli arrivati, come a chiederti chi fossi veramente e che cosa mai ti portasse in quella sala di partito, proprio accanto a lui, sospinto da un’insolita traiettoria e da una storia che forse valeva la pena conoscere.
Cosa mi avesse spinto in Via di Torre Argentina 76, quella che era allora la sede dei radicali di Marco Pannella, io lo sapevo bene. A diciotto anni, avevo preso la decisione irrevocabile di diventare un attivista dopo aver letto su Wikipedia una frase che diceva: “Noi siamo diventati radicali perché ritenevamo di avere delle insuperabili solitudini e diversità rispetto alla gente, e quindi una sete di alternativa profonda, più dura, più “radicale” di altri. Noi non “facciamo i politici”, i deputati, i leader … lottiamo, per quel che dobbiamo e per quel che crediamo. E questa è la differenza che prima o poi, speriamo non troppo tardi, si dovrà comprendere”. Queste parole, ovviamente di Marco Pannella, mi avevano trasmesso l’inequivocabile intuizione che quelle “insuperabili solitudini e diversità” erano anche le mie, e che, se volevo dare una direzione e un senso alla mia “sete di alternativa profonda”, questi andavano cercati nella politica radicale. In breve tempo, durante l’estate del 2013, il mio timido e incerto interesse per la politica da rappresentante d’istituto in un liceo di Napoli, divenne presto un impegno da attivista ai tavolini della campagna referendaria di quel periodo (un impegno un po’ saltuario a onor del vero, ma su questo sorvoliamo pure…). Su depenalizzazione del possesso di cannabis, abolizione dell’8×1000 al Vaticano, riforma della giustizia e molto altro, non raggiungemmo il numero di firme necessario per presentare i quesiti referendari. Eppure Mario Staderini, allora segretario dei radicali italiani, presentò ricorso all’ONU contro una legge ingiusta sulla raccolta firme, portando appena un anno fa a una sentenza storica che ha segnato il primo caso di violazione dei diritti umani in materia di democrazia diretta (senza che nel frattempo, l’Italia – o il “regime”, come avrebbe detto qualcuno – abbia fatto nulla per cambiare la legge). Anche questo dà un’idea di cosa voglia dire fare politica col metodo radicale, oggi come allora.

Ma, tornando a noi, Marco Pannella lo incontrai quasi un anno dopo, quando iniziai a frequentare le riunioni di partito a Roma. La prima volta che mi si avvicinò non l’avevo neanche visto arrivare. Ero impegnato a grattarmi la barba incolta da ventenne, lo sguardo proiettato verso il palco, ascoltando o fingendo di ascoltare l’ennesimo intervento politico di fine giornata. Quando mi girai, alla mia destra c’era Pannella che scimmiottava i miei gesti: si accarezzava il mento con movimenti convulsi, faceva smorfie da finto intellettuale che prova a darsi un tono. Subito dopo avermi fatto ridere si spostò altrove, e il nostro scambio senza parole si esaurì così, in modo forse più eloquente di tante conversazioni verbose che mi erano capitate.
Se si esclude questa breve interazione silenziosa, qualche abbraccio e qualche sorriso scambiato di sfuggita a margine di riunioni lunghissime, mi resta soltanto un ricordo personale di Marco Pannella, e corrisponde all’unica conversazione che abbiamo avuto. Era il Novembre del 2015 e ci trovavamo all’ingresso di un albergo, in un piccolo paese della Toscana, teatro abituale dei congressi radicali degli ultimi anni pannelliani. Marco stava fumando un sigaro e io mi trovavo con un’amica giornalista troppo timida per avvicinarlo, perciò toccò a me farlo.
Difficile dire di cosa parlammo: anch’io sono mezzo francese dissi, anch’io sono napoletano rispose lui, e quando qualcuno intorno gli fece notare che non era vero, lui disse che invece sì, lo era per scelta, e in fondo era quello che contava, mica per niente si era fatto eleggere consigliere comunale a Napoli. Poi recitò una poesia in francese che mi pento ancora di non ricordare, e per ricambiare le citazioni gli parlai di quel libro che avevo appena letto, La Montagna Incantata di Thomas Mann, dove appariva il personaggio dell’illuminista italiano che mi sembrava il suo alter ego perfetto (ironia della sorte, scoprii tempo dopo che Adriano Sofri aveva accomunato a Pannella un personaggio diverso dello stesso libro: forse un segno di quante cose opposte riuscisse ad essere Marco, senza però cadere in contraddizioni). Lui disse che certo, quel libro lo aveva “regalato a gogò”, un’espressione che avrei potuto sentire soltanto dalla sua bocca e che ho finito per riciclare spesso.
La conversazione terminò lì, ma qualche giorno dopo ascoltai Pannella citare Thomas Mann su Radio Radicale, e mi piacque pensare di avergli messo una pulce nell’orecchio.

Ecco, sono questi i miei pochi e frammentari ricordi di Marco Pannella. Niente di speciale forse, niente da aggiungere alla sequela di amarcord che da cinque anni si riversano ogni 19 Maggio su blog e giornali e social media, allo scoccare del suo anniversario di morte.
Eppure, nonostante una conoscenza personale poco più che effimera, quando il 19 Maggio del 2016 appresi che Marco Pannella non c’era più, riconobbi quello stesso senso di solitudine che mi aveva spinto verso i radicali anni prima. Una solitudine personale, certo: il vuoto interiore lasciato da un uomo che aveva avuto un impatto così determinante sulla traiettoria della mia vita. Ma anche una solitudine politica: il vuoto di idee, di nuove e diverse chiavi di lettura della realtà, che chissà quanto avrebbero potuto illuminarci sulla crisi migratoria, e su Donald Trump, e sulla Brexit e sul Covid e sul cambiamento climatico e sull’intelligenza artificiale, eccetera eccetera.

Dicevamo dunque, chi era Marco Pannella? Era uno che – tanto per dirne una tra la mille possibili – probabilmente ha sempre tenuto ben presente un vecchio consiglio di Pierpaolo Pasolini: “Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare”. 

Di nuovi diritti da pretendere e di nuovi scandali da sollevare, chi ha vissuto al fianco di Marco Pannella ne sa qualcosa. Per esempio, con l’Associazione Luca Coscioni c’è un diritto ancora tutto conquistare, con un referendum per l’eutanasia legale che dal 30 Giugno avrà bisogno di nuovi volontari ai tavolini di raccolta firme: https://referendum.eutanasialegale.it/referenti-territoriali/

Forse, più delle ipotesi di scenario, dei “cosa ne avrebbe detto se…”, delle celebrazioni del passato, il modo migliore per continuare a far vivere l’eredità politica di Marco Pannella è quello di esercitarla. A partire da qui, dalle nostre comuni esigenze di libertà.