Che ne pensa l’Italia del brevetto sul Vaccino anti-Covid?

Sono passati quasi tre mesi da quando il Presidente del Costa Rica Carlos Alvarado e il suo Ministro della Salute scrissero al Direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità proponendo di condividere impegni e investimenti per affrontare il post-pandemia:  “Questa richiesta” scrivevano i due nel presentare la lettera alla stampa “fa parte dell’arduo sforzo interistituzionale e del lavoro che abbiamo intrapreso in Costa Rica. Sappiamo che è necessario un lavoro straordinario da parte di tutti gli Stati membri, ma abbiamo già dimostrato di essere in grado di andare sempre oltre quando occorre”.

La lettera fu immediatamente accolta da Tedros Adhanom Ghebreyesus con parole d’entusiasmo “Dobbiamo liberare tutto il potenziale della scienza” dichiarò a metà maggio “senza caveats o restrizioni, per offrire innovazioni che siano di scala, utilizzabili e allo stesso tempo vantaggiose per tutti, ovunque”. 

Da allora l’OMS ha lavorato alla proposta di coordinamento di risorse per la ricerca di un vaccino evidenziando cinque elementi: 

  1. la divulgazione pubblica delle sequenze e dei dati genetici;
  2. la trasparenza dei risultati delle sperimentazioni cliniche;
  3. le condizioni associate al finanziamento pubblico delle aziende farmaceutiche
  4. la promozione dell’innovazione aperta
  5. il trasferimento tecnologico.

L’iniziativa nel frattempo è stata denominata COVID-19 Technology Access Pool e ha ottenuto il sostegno di Argentina, Bangladesh, Barbados, Belgio, Belize, Bhutan, Brasile, Cile, Repubblica Dominicana, Ecuador, Egitto, El Salvador, Honduras, Indonesia, Libano, Lussemburgo, Malesia, Maldive, Messico, Mongolia, Mozambico, Oman , Pakistan, Palau, Panama, Perù, Portogallo, Saint Vincent e Grenadine, Sudafrica, Sri Lanka, Sudan, Timor Est, Uruguay e Zimbabwe.

Il coordinamento della raccolta delle risorse chiede inoltre a chi sosterrà l’azione di concedere in licenza i prodotti al Medicines Patent Pool, un organismo sostenuto dall’ONU per la condivisione di licenze e brevetti.

La lettera del Costa Rica si concludeva chiedendo inoltre che l’Osservatorio globale sulla ricerca e lo sviluppo della salute creasse un database sulle attività di ricerca e sviluppo relative al COVID-19, comprese le stime dei costi degli studi clinici e dei sussidi forniti da governi e enti di beneficenza. La risoluzione della 73esima Assemblea Generale dell’OMS ha fatto proprie tutte queste proposte.

Dalla lista dei sostenitori della proposta costaricense mancano le cinque superpotenze dei big pharma – USA, Gran Bretagna, Svizzera, Francia e Germania –  ma, almeno per ora, manca anche l’Italia. L’assenza dei sei paesi sembrerebbe esser legata agli ingenti investimenti governativi già destinati alla ricerca sul vaccino, la mancanza del nostro paese invece sorprende.

Dall’inizio dell’emergenza l’Italia, anche perché all’epoca era il paese Occidentale maggiormente colpito, è sempre stata all’avanguardia nella transnazionalizzazione della ricerca di risposte efficaci alla pandemia arrivando a guidare l’iniziativa di raccolta fondi straordinari #UnitedAgainstCoronavirus dell’inizio di maggio che in poche ore raccolse promesse di finanziamenti intorno agli otto miliardi di dollari. 

La mancanza di sostegno italiano a quest’iniziativa di ripartizione degli oneri per la ricerca sul vaccino meraviglia ulteriormente per due motivi. Da una parte tra i primi progetti a produrre risultati promettenti ce n’è uno in fase di sperimentazione dalla divisione Advent della Irbm di Pomezia e dallo Jenner Institute dell’università di Oxford. Dall’altra Italia, Francia, Germania e Paesi bassi hanno stretto un’alleanza per negoziare con potenziali produttori e aziende farmaceutiche per consentirne la produzione in Europa del vaccino anti-Covid 19 e garantire quantità e possibilità di accesso sufficienti per tutta l’UE e per paesi a basso reddito, in particolare in Africa.

I giganti farmaceutici AstraZeneca, GlaxoSmithKline, Pfizer e Johnson & Johnson hanno affermato di aver sostenuto gli sforzi per garantire una “equa distribuzione” di vaccini e cure, ma i loro dirigenti hanno condannato il concetto di “pool” di proprietà intellettuale come qualcosa di inutile se non dannoso perché è dai brevetti che si guadagna e la ricerca di queste settimane è già costata miliardi di dollari. Dollari che però in buona parte sono pubblici e che quindi dovrebbero esser impiegati per finalità anche non a scopo di lucro come la distribuzione di terapie in paesi poveri ad opera di agenzie specializzate dell’ONU o organizzazioni non-governative internazionali. 

Perché questo afflato di solidarietà si trasformi in opere concrete occorrerà condividere impianti normativi insieme alle risorse medico-scientifiche. Uno dei possibili risultati di tutta questa cooperazione coordinata potrebbe essere quello di avviare un processo riformatore globale che ci potrebbe portare a rivedere come e quanto funziona il sistema delle Nazioni unite a oltre 70 anni dalla sua creazione. Sarebbe quindi quanto mai opportuno che un paese che da sempre ripone fiducia nel sistema dell’ONU come l’Italia sia attivamente coinvolto.