Cancro e Fine vita

Fin dal caso di Eluana Englaro che a causa di un incidente stradale avvenuto nel 1992, per i successivi 17 anni visse in stato vegetativo a causa dei traumi riportati e poté trovare pace solo grazie ad una prolungata battaglia giudiziaria al termine della quale fu consentita l’interruzione della nutrizione artificiale [morte (m.) avvenuta nel 2009], raramente i pazienti che grazie al loro coraggio e spirito civico hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica il problema della normativa di fine vita sono stati affetti da cancro. Piergiorgio Welby (m. 2006) era affetto da distrofia fascioscapolomerale; Fabiano Antoniani (DJ Fabo; m. 2017) e Federico Carboni (“Mario”, m. 2022) erano anch’essi, come Eluana, in condizioni irreversibili a causa di incidenti stradali; Davide Trentini (m. 2017) e “Massimiliano” (m. 2022) erano affetti da sclerosi multipla. Fabio Ridolfi (m. 2022) da tetraparesi da rottura dell’arteria basilare. “Romano” (m. 2022) e “Paola” (m. 2023) da morbo di Parkinson. Solo Elena Altamira (m. 2022) era affetta da un tumore polmonare irreversibile. Ma questo non deve fuorviare.

I pazienti oncologici che con riservatezza si rivolgono alla associazione “Dignitas” di Schwerzenbach (CH) per accedere ad una fine di vita meno “infernale” di quella che nelle loro stesse parole li aspetta sono molti, forse la maggioranza. Quando lo fanno, non hanno certo la forza di andarci da soli. Devono essere accompagnati da qualcuno che dovrà rispondere, secondo l’attuale normativa italiana, di aiuto al suicidio che è un reato previsto dal codice penale all’articolo 580. Questo perché il malato oncologico quasi sempre manca di uno dei quattro requisiti fondamentali indicati dalla Corte Costituzionale per poter considerare illegittimo l’articolo 580 ed accedere in Italia al suicidio medicalmente assistito: quello di essere “tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale” (per esempio una macchina per sostenere la respirazione).

Ora mi scuso in anticipo per l’argomento non lieve, ma credo si debba sapere, se qualcuno ha la fortuna di non avere mai avuto una persona cara malata terminale di cancro, di cosa si tratta. Farò riferimento al campo di cui mi occupo che è quello dei tumori maligni cerebrali (gradi tre e quattro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità). Il centro di controllo della nostra funzionalità cardiaca e respiratoria (Midollo Allungato) si trova nella nuca, in prossimità del foro del cranio attraverso il quale il cervello si prolunga nel midollo spinale. Nonostante tutti gli sforzi della Ricerca, questi tumori possono essere curati, ma non guariti: essi crescono aumentando la pressione endocranica esercitata sul Midollo Allungato, fino a bloccare la respirazione e l’attività cardiaca e portare a morte il paziente.

Purtroppo, questo processo non è rapido: nei casi più “fortunati”, il tumore cresce come una palla e quindi il suo “effetto massa” aumenta la pressione endocranica più rapidamente portando a morte il paziente nel giro di alcune settimane/mesi. In casi meno fortunati, il tumore cresce finemente disperso in gran parte del cervello, aumentando la pressione endocranica più lentamente e portando a morte il paziente nel giro di mesi/anni. Sostenere la funzione respiratoria o cardiaca con “trattamenti di sostegno vitale” non ha senso in questi casi: servirebbe solo a prolungare una già fin troppo lunga agonia. Non è raro che questi pazienti desiderino ad un certo stadio di progressione poter scegliere se porre fine alle proprie sofferenze o meno, ma non essendo collegati ad una macchina che ne supporti le funzioni vitali non possono avere in Italia quella possibilità. Quel requisito di “essere tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale” quindi limita la libertà di scelta ad una vasta platea di malati che certamente non patiscono meno di quelli che sono collegati ad una apparecchiatura. Ancora una volta, è opportuno ricordare che la rimozione di un tale requisito non comporterebbe alcun obbligo o rischio per alcuno. Darebbe solo una possibilità di scelta.