Sul clima la scienza è chiara, perché non la si ascolta?

cambiamenti climatici

“La scienza è chiara. Se non si ridurranno rapidamente le emissioni di gas serra, in particolare CO2, i cambiamenti climatici avranno conseguenze irreversibili e sempre più distruttive per la vita sulla Terra”. Non è l’inizio dell’ultimo romanzo distopico ma l’avvertimento di Petteri Taalas, segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite (WMO) a pochi giorni dalla COP 24 la conferenza internazionale sui cambiamenti climatici che dal 3 al 14 dicembre a Katowice, in Polonia, dovrà finalizzare l’accordo di Parigi per raggiungere l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale.

La WMO conferma che i gas serra, i maggiori responsabili del riscaldamento globale, hanno registrato un nuovo record nel 2017, senza che vi sia stata alcuna indicazione di un’inversione di tendenza. I livelli di anidride carbonica hanno raggiunto 405 parti per milione (ppm) nel 2017 (erano 400,1 nel 2015), un livello mai visto in 3-5 milioni di anni. I ricercatori notano anche il risorgere di un gas vietato chiamato CFC-11.

L’8 ottobre l’IPCC, il panel intergovernativo sui mutamenti climatici, aveva pubblicato un rapporto speciale che ammoniva che “senza cambiamenti drastici, il mondo non ha la speranza di evitare cambiamenti climatici incontrollabili”.

Quando nel dicembre 2015 gli stati membri delle Nazioni unite avevano adottato l’accordo di Parigi, l’IPCC era stato invitato a preparare una relazione sul riscaldamento di 1,5° C entro il 2018, nel momento in cui l’accordo di Parigi sarebbe stato valutato in occasione della 24a Conferenza degli stati parte della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP24), che si terrà in Polonia a dicembre di quest’anno.

Il messaggio centrale è il più drammatico degli ultimi anni, e non che i precedenti fossero di poco conto, “A meno che le emissioni non si dimezzino nei prossimi 12, e si eliminino del tutto entro il 2050, gli aumenti di temperatura supereranno probabilmente i 2 gradi Celsius in maniera irreversibile” creando una spirale che potrebbe portare allo scioglimento del permafrost.

“Limitare il riscaldamento globale a 1,5° C richiederebbe cambiamenti rapidi, di vasta portata e senza precedenti in tutti gli aspetti della società”, ha detto il presidente dell’IPCC, l’economista coreano Hoesung Lee. “Con evidenti benefici per le persone e gli ecosistemi naturali, limitando il riscaldamento globale a 1,5° C rispetto ai 2° C, si potrebbe andare di pari passo con la garanzia di una società più sostenibile ed equa”. Il rapporto aveva anche evidenziato una serie di impatti sui cambiamenti climatici che potrebbero essere evitati limitando il riscaldamento globale a 1,5° C rispetto ai 2° C o più. Ad esempio, entro il 2100, l’innalzamento globale del livello del mare sarebbe inferiore di 10 cm con il riscaldamento globale entro 1,5° C rispetto ai 2° C.

Il principale colpevole di questa imminente catastrofe restano i combustibili fossili e le istruzioni per affrontare strutturalmente il problema sono note: abbandonare il carbone entro il 2050 (per l’IPCC l’uso del carbone deve scendere tra lo 0 e il 2% dei livelli esistenti).

Se i paesi maggiormente responsabili delle emissioni mondiali stanno ridimensionando la dipendenza dal carbone, i paesi in via di sviluppo nell’Asia sudorientale si stanno muovendo nella direzione opposta arrivando addirittura a costruire economie basate prevalentemente dal carbone. E la finanzia occidentale investe pesantemente in questi “promettenti” contesti. A parte gli emergenti, il grosso delle emissioni viene prodotto da Stati Uniti, Cina, Giappone e India. La metà della popolazione mondiale

Il riscaldamento globale ha bisogno di risposte globali, basate sulla cooperazione tra stati che non può fare a meno dell’agire responsabile delle grosse multinazionali dell’energia e delle produzioni di massa di – senza tralasciare quelle del cibo.

In un mondo dove la popolazione continua, e continuerà, ad aumentare e dove mutamenti climatici strutturali vengono sperimentati nel corso di una vita umana, le uniche parole d’ordine che sembrano mobilitare sono “sovranità” e “interesse nazionale”, mentre il “popolo sa cosa occorre”. In questo contesto risulta difficile scorgere qualcuno che si assuma la responsabilità di investire nel futuro, un futuro non solo sostenibile ma, se possibile, radicalmente più intelligente degli ultimi decenni.

Di un’intelligenza naturale che faccia tesoro di quella artificiale, di un’intelligenza che sia sostenuta dalla scienza e dalla ragione.

Sicuramente un titolo sui BTP cattura l’attenzione, ma se non iniziamo a ridurre il CO2 nel doman vi sarà finalmente una certezza: che non ci saremo più.

Tornare a includere l’ecologia nel dibattito politico nazionale e internazionale, e non solo con evocazioni, come ha iniziato a fare recentemente Marco Cappato, deve esser la priorità per il presente. Iniziare a tassare pesantemente chi inquina sarebbe sicuramente un buon inizio.