All’inizio di agosto Netflix ha pubblicato “Painkiller”, una miniserie basata in (buona) parte su fatti realmente accaduti negli ultimi 20 anni relativi all’incredibile diffusione dell’antidolorifico OxyContin – ossicodone – prodotto dalla Purdue Pharma di proprietà della famiglia Sackler. Stime recenti fissano a oltre 300.000 le morti per overdose da oppiacei negli USA, un numero di vittime superiore a quelle di tutte le guerre in cui gli Stati uniti hanno partecipato, da quella del Vietnam in poi.
La trama di Painkiller si basa su due testi: il libro Pain Killer di Barry Meier e l’articolo del New Yorker “The Family That Built the Empire of Pain” di Patrick Radden Keefe (Meier è produttore consulente della serie mentre Keefe è produttore esecutivo) e ricostruisce le origini dell’epidemia di overdosi da oppiacei imputandole a spietate strategie di marketing per cui nel 2019, e poi ancora nel 2020, la Purdue Pharma ha raggiunto un accordo di circa sette miliardi di dollari ammettendo d’aver “cospirato e concordato consapevolmente e intenzionalmente con altri per aiutare e incoraggiare” i medici a prescrivere farmaci “senza uno scopo medico legittimo”. La famiglia Sackler, proprietaria dell’azienda, pagherà inoltre 225 milioni di dollari di danni e la società verrà chiusa definitivamente perché ha dichiarato bancarotta. Dirigenti e consulenti dell’azienda hanno mentito sulla reale potenza della medicina anche in audizioni davanti al Congresso.
I fatti (reali) vengono raccontati dalla voce di una investigatrice (inventata) che con le sue interviste e commenti riassume alcune delle informazioni raccolte dal dipartimento di giustizia grazie a whistleblower in reazione alla crescita esponenziale dell’uso problematico di un antidolorifico potentissimo che veniva prescritto molto facilmente e che creava gravi dipendenze in chi lo usava. Se inizialmente le prescrizioni venivano fatte per il motivo per cui la medicina era stata sviluppata, l’efficacia dell’antidolorifico suggerì strategie di marketing per ampliarne l’impiego ad altri tipi di dolori, meno acuti ma non per questo meno diffusi nella popolazione.
Per rendere la storia più avvincente la narrazione si sofferma su un paio di storie di persone con problemi di dolore da tenere sotto controllo e di dipendenti della Purdue. La investigatrice (afro-americana) Edie Flowers, il cui impegno all’inizio viene da lei stessa presentato come “puramente burocratico”, alla fine si trasforma in quello di una sorta di militante della libertà e della giustizia sociale offrendo giudizi sprezzanti nei confronti dell’abuso di potere tipico dell’establishment, contro la manipolazione e influenze che negli anni hanno consentito alla famiglia Sackler di farla franca con qualche patteggiamento da parte dei dipendenti senza alcuna implicazione penale per i proprietari dell’azienda. Il colore della pelle di Flowers è importante perché la protagonista ha un fratello in carcere, con una pesante condanna senza condizionale, per traffico di droga che ricorda l’ingiustizia intrinseca del proibizionismo statunitense e, forse (ma nella serie nessuno ne parla mai) in parte offusca uno dei motivi per cui, alla fine, pur con tutti i limiti e ritardi del caso, alla fine la famiglia Sackler e la Purdue sono state portate in tribunale: nel 90% dei casi le overdosi riguardano persone bianche che spesso vivevano in stati governati dai repubblicani.
Il 9 agosto scorso (la serie è stata chiusa a fine marzo 2023) la Corte Suprema degli Stati uniti ha bloccato temporaneamente un accordo di bancarotta per la Purdue Pharma che avrebbe protetto i membri della famiglia Sackler, che un tempo controllava la società, da ulteriori cause civili sull’epidemia di oppioidi limitando la responsabilità personale dei Sackler a 6 miliardi di dollari (la famiglia “avrebbe” un patrimonio di 11 miliardi, tre volte quanto quello di Berlusconi). Molto probabilmente quest’ordine ritarderà i pagamenti alle migliaia di querelanti che hanno citato in giudizio i Sackler e la Purdue accusandoli di aver innescato la crisi degli oppioidi. In base all’accordo raggiunto l’anno scorso i Sackler avevano accettato di pagare quanto richiesto dalle famiglie delle vittime in cambio della piena immunità dalle migliaia di controversie legali civili. La decisione della Corte Suprema arriva in risposta a un’obiezione circa la promessa “immunità” avanzata dal Dipartimento di Giustizia perché quel tipo di protezione legale è previsto per debitori in “difficoltà finanziarie” e non per miliardari che vogliono fare i furbi. A un certo punto si ricorda che al picco del suo “successo” l’OxyContin faceva incassare alla Purdue circa 30 milioni di dollari la settimana!
In una delle scene in cui la famiglia Sackler si ritrova per discutere del futuro, uno dei decani chiede al più giovane i motivi per cui i nomi di Frick, Carnegie o Rockefeller siano noti negli USA e nel mondo, la risposta è “non per aver schiavizzato o avvelenato migliaia di persone con le loro attività imprenditoriali ma perché c’è un museo di arte su Madison Avenue, una sala per concerti e un intero isolato nel cuore di Manhattan” dove, tra le altre cose, viene messo l’albero di natale della città e dove trasmettono diversi canali TV.
Per decenni la famiglia Sackler ha sostenuto musei in tutto il mondo, per non parlare di istituzioni come la Columbia University, dove c’è un Sackler Institute, e Oxford, dove c’è una Sackler Library. Poi c’è l’Old Royal Naval College con una Sackler Gallery per conoscerne la storia, il Louvre, con un’Ala Sackler delle Antichità Orientali o il Metropolitan Museum of Art con l’imponente Sackler Wing con pareti in vetro. I Sackler sedevano anche nei board della Tate Gallery di Londra e del Guggenheim di New York. A seguito dell’apertura dei procedimenti penali contro la famiglia e la Purdue molte di queste istituzioni stanno decidendo come reagire: c’è chi ha rivisto le procedure di donazione, chi vuole cancellare i nomi dei donatori, chi ancora non ha ben capito come fare. La decisione finale della Corte suprema potrebbe suggerire un nuovo corso.
La rabbia suscitata da questa epidemia di overdosi da oppiacei ha avuto anche delle ripercussioni negative sul dibattito che negli USA di tanto in tanto si apre circa la possibilità di estendere le riforme proposte sulla regolamentazione dell’uso personale e vendita della cannabis alle sostanze più potenti come per esempio gli oppiacei illeciti o la cocaina. L’argomento è “se sostanze legali provocano quasi 90.000 morti l’anno cosa accadrebbe se l’offerta dovesse ampliarsi a prodotti ancora più potenti?” La serie televisiva fornisce indirettamente una risposta: l’epidemia è frutto di una strategia stabilita a tavolino di massimizzazione dei profitti anche a fronte della massimizzazione delle vittime che, come dice sempre il solito decano “da vittime dovranno diventare vittimizzatori” cioè persone che imputano la propria rovina a chi ha cercato di migliorargli la vita e non alla propria incapacità di gestire scelte personali. Una risposta in teoria accettabile come punto di partenza ma non corrispondente alla realtà per cui è stato applicato un sistema di premi produzione cinico e scaltro per le prescrizioni di OxyContin che è, e resta, una medicina tanto essenziale quanto potente.