In futuro un Papa dovrà chiedere perdono alle “Elene” che vanno in Svizzera

È un bel gesto, seppur assai tardivo, quello di Papa Bergoglio che si è volato fino in Canada chiedere perdono per i crimini (non peccati, ma crimini) compiuti dai missionari cattolici contro i nativi canadesi. Maltrattamenti fisici e psicologici e l’induzione in condizioni al limite della sopravvivenza. Roba forte, comportamenti indegni di un essere umano, ancor più gravi se si pensa che sono stati dettati dalla necessità di soggiogare un popolo per consegnarlo tra le amorevoli braccia di madre chiesa romana. Una missione pastorale a tutti gli effetti, per la quale è logico che Bergoglio chieda perdono perché di questa missione, la Chiesa che governa, nella sua missione evangelica, è stata mandante consapevole.

Non è nuova la Chiesa Cattolica a gesti di questo genere. Nel 1992 dopo quasi 400 anni Giovanni Paolo II riabilita Galileo Galilei (!) che era stato sottoposto a processo per le sue idee rivoluzionarie. In quei quasi 400 anni l’evoluzione del pensiero galileiano ha portato il genere umano a curarsi di più e meglio, a soffrire di meno a viaggiare nello Spazio e anche nel tempo senza trovare traccia di Adamo ed Eva. Galilei di quella riabilitazione non aveva proprio bisogno

Otto anni dopo, il 12 marzo 2000, sempre Giovanni Paolo II, ha chiesto volte perdono per: i crimini dell’inquisizione, le guerre di religione, gli scismi; le persecuzioni contro gli ebrei; il sostegno al colonialismo, alla discriminazione etnica e sessuale, la quiescenza contro le ingiustizie sociali. Vengono messe nero su bianco una sfilza di crimini e nefandezze da fare impallidire Pol Pot.

Peccato però che nella foga ci compiere questi esercizi di stile a ritroso e chiedere perdono per colpe non sue ha mancato di farlo per quanto direttamente o indirettamente era, o era stata, sua responsabilità. I viaggi in Africa si imperneavano su una criminale e irresponsabile propaganda contro l’uso del preservativo (rimarcata poi da Ratzinger nel 2009). In un continente con un bassissimo tasso di alfabetizzazione, con la presenza di importanti gruppi cattolici, falciato dall’AIDS e con un sistema sanitario inesistente, rendere peccato l’uso di uno strumento che protegge da malattie durante i rapporti sessuali ha significato contribuire, seppur indirettamente, alla diffusione del virus, alla sofferenza di milioni di essere umani e gravidanze indesiderate che hanno generato, sotto diversi fronti, ulteriori sofferenze.

Laddove non è stato possibile agire in modo pratico per “conquistare” le coscienze, si è usata l’intransigenza dottrinale per nutrire un’azione pastorale prepotente e senza scrupoli. Mentre alle nostre latitudini, in contesti secolarizzati e laici, il sistema più usato è l’ingerenza nella vita politica del paese, attraverso la contaminazione delle assemblee legislative e financo quelle giudiziarie di alto grado attraverso l’ostentazione di un potere, anche economico, senza pari.

E qui volevo arrivare. Le parole contro il ricorso all’eutanasia (di fatto contro il referendum eutanasia legale) pronunciate da Bergoglio durante l’udienza generale del 9 febbraio scorso navigano in acque sicure,  così come sicuro era il porto che hanno raggiunto: la Corte Costituzionale ha bocciato, con motivazioni che non rientrano in quelle definite dall’art. 75 della Costituzione, il referendum sottoscritto da più di 1.200.000 persone, sulla parziale abrogazione dell’art. 579 del codice penale.

Ora, cosa significa questo per i malati è presto detto: sofferenza e agonia. Verso cui il Papa in carica  agisce con intransigenza dottrinale per generare come sopra e come sempre, un’azione pastorale violenta e senza scrupoli.

Se Elena, la signora veneta malata terminale di cancro, è stata costretta a porre fine alle proprie sofferenze in Svizzera, lontana dalle mani e dagli sguardi dei suoi cari, è perché un Parlamento ammanettato non è riuscito a licenziare una buona legge sul fine vita. I nostri legislatori hanno deciso di temporeggiare, la malattia di Elena no.

“Le nostre esistenze non possono aspettare le scuse di uno dei prossimi papi”, le parole di Luca Coscioni affiorano fresche e vigorose.

Bergoglio potrebbe liberare i suoi successori, se ci saranno, dal fardello di dover chiedere perdono per le sue colpe indirette, e per quelle dei suoi predecessori, verso questo mare silenzioso e inerte di esseri umani che se cattolici vogliono in pace “tornare alla case del padre” se atei vogliono solo smettere di soffrire.