Con  questo mio intervento vorrei illustrarvi l’azione giudiziaria che con l’Associazione Coscioni stiamo intraprendendo attraverso il deposito esposto presso la procura della repubblica di Roma che ha ad  oggetto l’ennesima violazione di una legge dello Stato da parte dello Stato stesso.

Mi ricollego a quello che poco fa ha detto Marco Pannella e ritengo che anche questa azione rientri nella denuncia di una di quelle situazioni di “flagranza di reato” in cui versa lo Stato Italiano. L’oggetto è a legge è 194 del ’78, in tema di interruzione volontaria della gravidanza,. Le origini non più recentissime  di questa legge dovrebbero fare immaginare un consolidamento culturale, ideologico e sociale dei principi in essa contenuti, invece a 35 anni dalla sua entrata in vigore, ci troviamo a combattere non per un nuovo diritto o l’affermazione di un nuovo principio ma per l’applicazione stessa di una legge che è stata faticosamente conquistata.

Punto di partenza di questa azione giudiziaria sono stati i dati raccolti e diffusi dalla Laiga, libera associazione italiana dei ginecologi per l’applicazione della legge 194, che quindi ringraziamo nonché le riflessioni scaturite dal il congresso del 22 maggio scorso organizzato insieme all’AIED.

 I dati relativi alla Regione Lazio hanno una eloquenza dirompente e per questo hanno imposto e urlato e hanno richiesto una spiegazione. Non servono ermeneutiche per decifrare questi dati, basta che io vi legga quello fondamentale: nella regione Lazio il 91% dei medici ginecologi è obiettore di coscienza. Su 31 ospedali 12 non praticano interruzioni di gravidanza e ci sono casi ancora più discutibili e paradossali come il Policlinico di Tor Vergata o ospedale Sant’Andrea che sono strutture sanitarie universitarie e che dovrebbero garantire la formazione degli specializzandi in ginecologia; non avendo i reparti, compromettono anche la formazione di medici. La situazione in cui versa la regione Lazio è del tutto chiara:  i medici ginecologi che applicano la legge 194 sono una piccola minoranza e in questo contesto che io senza timori definirei di “illegalità”, abbiamo cercato di riscriverlo alla luce dell’esposto, incanalando i fatti nelle vie normative adeguate affinché  l’autorità giudiziaria faccia luce su questa situazione ed eventualmente ne accerti le responsabilità.

L’introduzione dell’obiezione di coscienza contestualmente al riconoscimento del diritto per ogni donna, in presenza di certe condizioni che la legge prevede, di interrompere la gravidanza, aveva la funzione nel 1978 di consentire una metabolizzazione della legge che rendeva lecito un fatto come l’aborto che fino a quel momento era considerato un delitto contro l’integrità della stirpe. Il ricorso all’obiezione di coscienza trovava nel ’78 una giustificazione in relazione al contesto in cui era stato concepito, cioè il passaggio dell’aborto costituente reato ad un suo riconoscimento come principio e diritto delle donne, poteva creare effettivamente un certo disorientamento nel personale che operava in quel momento storico, anche se sappiamo che poi socialmente era una pratica assolutamente diffusa anche nella vigenza del reato.

A livello legislativo questa obiezione di coscienza poteva assumere un ruolo di mitigazione, di accompagnamento fra queste due dimensioni dell’aborto prima come reato e poi come diritto. Oggi a 35 anni di distanza l’obiezione di coscienza si ridimensiona nella sua portata, anche perché il personale che oggi si trova a operare a livello sanitario nell’ambito ginecologico ha avuto il tempo di apprendere che fra le sue funzioni c’era anche  quella di adempiere a un servizio sanitario pubblico come quello dell’interruzione di gravidanza. Comunque non è quella dell’esposto la sede per denunciare questi vizi legislativi anche se sappiamo che la legge 194 avrebbe bisogno di un restyling, anche sotto questo punto di vista.

In realtà il massiccio ricorso all’obiezione di coscienza, pure non rappresentando di per se stesso un reato ma un vero e proprio diritto riconosciuto dalla legge 194, determina una situazione che abbiamo definito di interruzione di un servizio pubblico, idonea a costituire un reato punito dalla legge penale. Non saranno i singoli obiettori di coscienza a rispondere del reato di interruzione pubblico servizio, perché questi stanno esercitando un diritto finché la legge 194 sarà in vigore così come concepita, bensì delle responsabilità andranno individuate,  dove? Nella struttura sanitaria e nelle persone dei suoi legali rappresentanti o secondo eventuali modelli organizzativi di cui eventualmente la struttura potrebbe essersi dotata.

 La legge 194 afferma, sia pure laconicamente perché non è facile individuare le effettive responsabilità che “le case di cura sono tenute a espletare l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza previste dall’articolo 7”. Quindi per legge grava sulla struttura ospedaliera il dovere di garantire il servizio sanitario di interruzione la gravidanza a prescindere dal ricorso dei medici all’obiezione di coscienza. In teoria l’adesione di un elevato numero di medici all’obiezione di coscienza non dovrebbe compromettere la garanzia del servizio di interruzione di gravidanza. La legge 194/78, assecondando la ratio di garanzia,  rafforza questo principio stabilendo che la “Regione controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale”, individua un ulteriore ente di riferimento, che è la Regione Lazio in questo caso, quindi la legge individua nella Regione una istituzione che deve farsi carico anche di questo. E sulla base di questo riteniamo che la legge indichi i responsabili e i garanti dell’applicazione della legge 194. Il reato che noi abbiamo paventato nell’ esposto e che poi dovrà essere vagliato dal  magistrato, è quello di interruzione di un ufficio o di un servizio pubblico, reato di cui all’articolo 340 del codice penale, questa norma era stata introdotta per tutelare il buon andamento della pubblica amministrazione, è un fatto che può essere commesso da chiunque, non importa che si tratti di pubblico ufficiale o un soggetto qualificato, e questa condotta consiste nell’interruzione o turbamento di un servizio, quindi se l’interruzione consiste nel provocare in qualsiasi modo la cessazione definitiva o temporanea del servizio, la legge punisce anche un suo turbamento che si manifesta quando l’agente provoca una semplice alterazione nel regolare funzionamento dell’ufficio. A  me sembra pacifico che una massiccia presenza di personale obiettore e la conseguente assenza del servizio di interruzione di gravidanza in molte strutture della Regione Lazio, provochi  una effettiva interruzione del servizio, o un turbamento laddove la donna sia costretta a peregrinare nella regione alla ricerca di una struttura che accolga la sua richiesta di interruzione di gravidanza, quindi crea un turbamento e un rallentamento delle procedure.

Addirittura la Cassazione ha stabilito “che integra il reato la condotta di chi cagioni allo svolgimento un semplice ritardo” e nell’ambito delle procedure di interruzione di gravidanza il tempo gioca un ruolo fondamentale, e dunque in questo caso sarebbe adeguata questa massima espressa dalla Cassazione. Massima espressa per altro nell’ambito di una gara ciclistica e era stato condannato il proprietario di una vettura che aveva parcheggiato in modo da intralciare la gara ciclistica.

 Voglio dire che anche nel caso in cui l’obiezione di coscienza rimanga un diritto, questo sicuramente non può ostacolare e negare l’accesso e quindi il servizio di interruzione di gravidanza. La Corte costituzionale aveva detto che neanche il diritto di sciopero poteva fare venire meno un servizio laddove questo fosse considerato necessario per i cittadini. Quindi per quanto riguarda l’individuazione di responsabilità ho detto, sicuramente la struttura sanitaria, ma anche la Regione, perché in realtà la legge 194 usa due termini che tecnicamente sono molto importanti: parla di una posizione di garanzia e di controllo. Dice che la Regione deve garantire e controllare l’attuazione. La garanzia e il controllo in termini penalistici hanno un significato tecnico importante, cioè laddove un soggetto rivesta una posizione di garanzia nei confronti di un certo interesse, questo può rispondere del reato, purché sia di evento, anche per non avere impedito l’evento stesso, secondo il modello detto della responsabilità omissiva prevista dall’articolo 40 cpv del codice penale.

Questa azione giudiziaria che noi stiamo intraprendendo ha lo scopo di fare luce su questa situazione, che sta diventando una dichiarazione aperta di illegalità. Procederemo all’ipotesi dell’esposto e cercheremo di avere notizie velocemente per quanto riguarda la fase delle indagini preliminari. Auspichiamo e invitiamo ad una mobilitazione sia a livello territoriale nelle altre regioni, cioè l’importante sarebbe raccogliere i dati delle altre regioni in modo da potere supportare o altre associazioni o chi voglia combattere con noi in questa battaglia, cercando di creare una rete, delle sinergie per portare avanti questa nostra battaglia, proprio al fine di creare una giurisprudenza positiva in questo tema perché siamo completamente privi di sentenze che si siano espresse sul punto. Naturalmente queste azioni saranno più incisive laddove verranno proposte da soggetti che si siano scontrati realmente con queste situazioni, quindi assumeranno la forma non di esposti ma querele che hanno una incisività importante. I modelli di queste querele li potete trovare sul sito dell’Associazione Luca Coscioni nella sezione di Soccorso Civile e invitiamo tutti a non  ricalcare i modelli pedissequamente ma integrarli con le esperienze personali e di chiederci aiuto direttamente, siamo pronti a farlo. Grazie.