Con questo mio intervento cercherò di illustrare alcune importanti iniziative giudiziarie che abbiamo portato avanti con successo a Roma per quanto riguarda i diritti delle persone disabili, a partire dalla riaffermazione del diritto alla mobilità; inoltre cercherò di definire le ulteriori iniziative che, dal mio punto di vista, l’Associazione Luca Coscioni dovrebbe mettere in campo insieme alle persone disabili per superare lo stato di profonda e palese illegalità che si presenta su tutto il territorio nazionale, soprattutto con riferimento alla mancata eliminazione delle barriere architettoniche. Purtroppo il problema che intendo affrontare non è circoscritto in una zona del Paese piuttosto che in un’altra, atteso che, in Italia, il diritto allo spostamento e quello alla libertà di circolazione delle persone disabili è profondamente negato in pressoché tutte le città, le province e le regioni. Si tratta di uno specifico paragrafo del più ampio capitolo che nel corso degli anni i radicali hanno declinato come “Caso Italia”, o “Peste italiana”. Diciamo subito che per quanto riguarda i diritti delle persone disabili non siamo all’Anno Zero, nel senso che dal punto di vista normativo le leggi ci sono. Sono leggi che risalgono nel tempo, a partire proprio dalla Costituzione italiana le cui disposizioni – penso agli articoli 2, 3 e 38 – stabiliscono principi fondamentali che valgono anche per le persone disabili; mi riferisco ovviamente ai principi di non discriminazione e di pari opportunità che debbono valere per tutte le persone a prescindere dalle loro condizioni personali, sociali e fisiche; principi tra i quali rientra a pieno titolo anche il diritto alla mobilità. Poi, oltre alle disposizioni testé citate della Costituzione, ci sono le norme contenute nella Convenzione ONU sui disabili del 2006 (ratificata in Italia nel 2009), nonché una miriade di leggi ordinarie, di leggi regionali e di regolamenti che sono stati approvati nel corso degli anni proprio con l’obiettivo di dare effettività e concretezza ai principi contenuti nella nostra Carta Fondamentale. Il punto essenziale di tutto questo complesso di leggi è quello di garantire a ciascun individuo disabile con difficoltà motorie l’esercizio dei suoi diritti civili, politici ed economici, e soprattutto di garantire al medesimo la piena integrazione nel contesto collettivo – sociale, familiare e scolastico – che lo circonda. Ebbene, nonostante questi bellissimi principi di diritto contenuti nel nostro ordinamento giuridico, la realtà è che nel nostro Paese i diritti delle persone disabili rappresentano ancora una chimera. Sul punto basta fare riferimento alle note barriere architettoniche: la legge n. 41, che risale addirittura al 1986, prescrive (articolo 32) che gli enti statali – centrali e locali – ed in genere tutte le pubbliche amministrazioni, debbano adottare dei piani di eliminazione delle barriere architettoniche (altrimenti detti “PEBA”) entro un anno. Il che vuol dire che già nel 1987 ogni pubblica amministrazione avrebbe dovuto, per quanto riguarda gli edifici e gli spazi pubblici di sua diretta pertinenza, adottare uno specifico e dettagliato piano di l’eliminazione delle barriere architettoniche. Ebbene, nulla di questo è stato fatto. Faccio l’esempio della Toscana, non certo l’ultima delle regioni, dove solo il 18% dei Comuni ha adottato i PEBA. Il dato sconfortante è che ad oggi, in Italia, a distanza di 26 anni dalla entrata in vigore della legga n. 41, nessun ente regionale e nessuna provincia ha ritenuto opportuno adempiere a questo obbligo giuridico, eppure i PEBA sono importantissimi perché è solo tramite essi che viene stabilita una tempistica certa entro la quale ogni amministrazione deve rimuovere le barriere architettoniche consentendo quindi alla persona disabile, nonostante le gravi difficoltà di deambulazione, di muoversi nello spazio circostante tutelando la sua dignità di persona umana. Peraltro quella stessa legge stabilisce che se la singola amministrazione comunale non adotta il PEBA entro un anno, la Regione deve intervenire, nominare un Commissario ad acta e adottare il Piano di Eliminazione delle Barriere Architettoniche al posto del Comune inadempiente, il che però non è mai avvenuto. Vedete quindi che le leggi ci sono, ma a monte vi è un problema di mancanza di volontà, a volte di pubblica amministrazione inefficiente e pachidermica. Quasi mai invece l’ostacolo è di tipo economico o finanziario (mancanza di fondi). Pertanto sul fronte della eliminazione delle barriere architettoniche il primo consiglio che mi sento di dare ad una persona disabile – e su questo mi richiamo ad una proposta recentemente avanzata dal co-presidente Gustavo Fraticelli – è quello di chiedere l’accesso agli atti nel proprio Comune di residenza per sapere se è stato adottato il PEBA; dopodichè, in caso di mancata risposta o di risposta negativa, presentare un esposto contro il sindaco – o nei confronti del Presidente della Regione, se la responsabilità è anche regionale – per omissione di atti d’ufficio. A tal proposito c’è una sentenza, anche se purtroppo isolata e abbastanza risalente nel tempo, con la quale è stato condannato un Sindaco per non aver adottato il PEBA entro un anno dall’entrata in vigore della Legge n. 41/1986. Peraltro sulla mancata adozione dei PEBA come Associazione Luca Coscioni abbiamo anche presentato delle interrogazioni non solo in Parlamento, ma anche in qualche Consiglio regionale e/o comunale; in tutti i casi gli amministratori locali hanno candidamente ammesso di non aver adottato il PEBA di loro competenza, a volte lamentando una mancanza di semplificazione delle relative procedure. In merito a queste gravissime omissioni, devo purtroppo dire che vi è una precisa responsabilità, oltre che degli amministratori, anche delle persone disabili che hanno accettato di ricoprire incarichi istituzionali: faccio l’esempio della città che conosco per mia diretta esperienza che è appunto il comune di Roma, dove la persona istituzionalmente responsabile per questo tipo di problemi è Guidi, che proprio non riesco a capire come faccia a rimanere nel suo incarico e a non dimettersi visto che per quanto riguarda il problema delle barriere architettoniche la metropoli romana versa in una situazione di illegalità diffusissima. E qui vengo alla recente azione giudiziaria ossia al ricorso che abbiamo promosso come associazione Luca Coscioni. Faccio un piccolo passo indietro: nel 2006 il Parlamento ha approvato una legge molto importante che per la prima volta offre uno strumento fondamentale nelle mani delle persone disabili. Ed invero la legge n. 67/06 consente alla persona disabile che si vede discriminata perché il suo diritto alla circolazione e alla mobilità non viene rispettato, di ricorrere al Tribunale con una procedura molto semplificata per chiedere alla Pubblica Amministrazione di rimuovere il comportamento discriminatorio e, quindi, la singola barriera architettonica, previo il risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali dallo stesso nel frattempo patiti. L’idea di attivare questo meccanismo giudiziario è stata di Gustavo Fraticelli, mentre io ho curato gli aspetti legali: ho quindi depositato il ricorso al Tribunale, sebbene a Roma nessun disabile si fosse mai rivolto alla magistratura chiedendo di condannare l’ente comunale per comportamento discriminatorio. Nel caso di specie Fraticelli lamentava il fatto che i marciapiedi ubicati presso le fermate degli autobus presentassero un rialzo continuo, il che significa che la persona costretta a muoversi sulla sedia a rotelle non può usufruire in maniera autonoma del mezzo pubblico di trasporto. Prima di agire in giudizio abbiamo più volte denunciato questo problema anche in occasione di manifestazioni politiche, supportati da uno studio, o meglio da una Relazione Tecnica, del Prof. Ceradini dalla quale risulta che a Roma ben l’80% dei marciapiedi dove sono ubicate le fermate degli autobus non sono a norma in quanto dotati di barriere architettoniche. A tal proposito, più volte abbiamo chiesto al Comune di intervenire senza mai ricevere risposta; dopodichè, una volta depositato in Tribunale il ricorso con allegata la Relazione del Professor Ceradini, Roma Capitale si è costituita in giudizio opponendosi alle nostre richieste, non certo perché infondate nel merito, quanto perché si lamentava un presunto difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, oltre che la mancanza di legittimazione attiva da parte della associazione Luca Coscioni (che nel caso di specie agiva in giudizio sulla base di una procura speciale rilasciatagli da Gustavo Fraticelli). A due anni dall’inizio della causa civile, il Tribunale monocratico, dopo aver rigettato tutte le eccezioni sollevate dal Comune, condannava Roma Capitale a mettere a norma cinque marciapiedi, da noi indicati nel ricorso, oltre a corrispondere 5mila euro a Gustavo Fraticelli a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale. Al Comune di Roma è stato inoltre ordinato di pubblicare a sue spese un estratto della sentenza su Il Messaggero Cronaca di Roma. Devo dire che l’aspetto veramente paradossale di tutta questa vicenda è rappresentato dalla dichiarazione rilasciata dal Sindaco di Roma il giorno stesso della pubblicazione del provvedimento giudiziario. Avvicinato da un giornalista, Alemanno ha infatti detto: “Questa è una sentenza sacrosanta, ci mancherebbe. Ha assolutamente ragione l’associazione Coscioni a rivendicare la messa a norma dei marciapiedi!”. Ecco, ci si lamenta spesso dell’eccessivo interventismo dei giudici nelle scelte discrezionali della pubblica amministrazione, in molti casi giustamente poiché a volte l’intervento dei magistrati è indebito e non certo legittimo, però c’è anche da dire che se la classe dirigente, gli amministratori comunali o locali, adempissero ai propri obblighi di legge tutto questo non si verificherebbe. L’iniziativa giudiziaria che abbiamo intrapreso ha aperto una breccia però, una volta raggiunto il risultato, c’è bisogno di mettere a frutto questo precedente giurisprudenziale, e non solamente a Roma. Occorre essere consapevoli che c’è ancora molta strada da fare sul fronte della lotta alle condotte discriminatorie nei confronti delle persone disabili e per la riaffermazione di diritti che non vengono rispettati per l’insipienza e l’inazione delle pubbliche amministrazioni. Il problema ovviamente non riguarda soltanto i marciapiedi: nel nostro Paese i disabili vivono una situazione di disagio da tutti i punti di vista: a partire dalla mancanza di servizi, mancanza che quasi sempre si traduce nella impossibilità per l’individuo di integrarsi nel contesto collettivo e sociale di riferimento. L’unica possibilità che abbiamo per ottenere qualche risultato immediato consiste nel promuovere dove possibile i ricorsi sulla base della legge n. 67 del 2006, ottenendo così la condanna delle Pubbliche Amministrazioni inadempienti, colpevoli di non aver provveduto alla eliminazione delle barriere architettoniche. E’ sconfortante dirlo, ma al momento è solo grazie all’intervento della magistratura se gli amministratori pubblici sono portati a compiere quello che la legge gli impone di fare da ben 25 anni. Per fare questo occorre però disporre di consistenti risorse umane e finanziarie. Secondo le statistiche, in Italia ci sono circa 3 milioni di persone disabili, basterebbe che soltanto l’1% di loro si unisse a noi in questa battaglia per cambiare radicalmente lo stato delle cose. Abbiamo visto che gli strumenti ci sono e che la legge ci offre delle meravigliose opportunità, adesso cominciamo ad avere pure qualche significativo precedente giurisprudenziale dalla nostra parte, però purtroppo il più delle volte queste strumenti non vengono utilizzati e le opportunità non vengono azionate. L’invito pertanto è quello di unirsi all’Associazione Luca Coscioni per fare insieme a noi un tratto significativo di strada nella giusta direzione. Abbiamo una situazione a livello amministrativo assolutamente fuori legge in materia di abbattimento delle barriere architettoniche, questa situazione non è più tollerabile e va denunciata non solo in sede politica, ma soprattutto in ambito legale e giudiziario..