Daniela ha 37 anni, è pugliese e vive a Roma, ha due lauree, in Lettere ed Economia, un master in Comunicazione. Gode di buona salute fino al 2020, quando le viene diagnosticato un tumore al pancreas in fase avanzata con metastasi al fegato.
Nonostante inizi subito la terapia, la malattia avanza. Negli ultimi mesi la qualità di vita di Daniela, costretta ad una semi immobilità, è decisamente compromessa, fino a che la sua situazione viene valutata come terminale. Ogni possibilità di miglioramento è esclusa, la progressione della malattia è inesorabile e le speranze di vita si attestano intorno a pochi mesi.
Daniela prende contatti con l’Associazione Luca Coscioni per conoscere come chiedere il suicidio assistito in Italia a seguito della Sentenza Cappato della Corte Costituzionale e per ricevere informazioni su come poter accedere eventualmente alla pratica, con l’aiuto di Marco Cappato, nei paesi dove il ricorso al suicidio assistito è legale.
Ricevute le informazioni necessarie Daniela, in cura a Roma, a febbraio 2021 chiede alla sua Asl di riferimento, e al relativo Comitato Etico, la verifica e l’attestazione delle sue condizioni per poter ricorrere – in applicazione della sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale – al suicidio assistito. La risposta è però negativa. ASL e Comitato Etico sostengono che la sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale riguardi “esclusivamente pazienti mantenuti in vita mediante macchinari (ventilazione, alimentazione, idratazione), cioè casi in cui la struttura sanitaria ha la concreta possibilità di assecondare la volontà del paziente interrompendo il funzionamento dei macchinari”. Daniela non riceve trattamenti di sostegno vitale mediante macchinari.
La stessa richiesta viene inviata lo stesso giorno all’Asl di residenza in Puglia. Il Comitato Etico prende in carico la richiesta nel marzo 2021.
Daniela decide di impugnare il diniego ricevuto. Il collegio difensivo, coordinato dall’avvocato Filomena Gallo, Segretario dell’Associazione Luca Coscioni, presenta un ricorso d’urgenza al Tribunale di Roma per ottenere le verifiche previste dalla sentenza Cappato e, con richiesta in via subordinata, di sollevare incidente di costituzionalità sul requisito del sostegno vitale, che in sua assenza determinerebbe una discriminazione ai sensi dell’art. 3 della Costituzione, fra quanti sono mantenuti in vita artificialmente e quanti, pur affetti da patologia anche gravissima e con forti sofferenze, non lo sono o non lo sono ancora.
Da un punto di vista medico-scientifico la chemioterapia, all’inizio, e la contemporanea terapia del dolore, costituiscono di fatto trattamenti di sostegno vitale in quanto risultano indispensabili per prolungare il mantenimento in vita e non soltanto necessari per evitare una morte in condizioni ancor più strazianti. Daniela presenta tutti i requisiti enunciati dalla Consulta per poter accedere al suicidio assistito: è libera, lucida e informata; soffre di una patologia irreversibile è sottoposta a sofferenze fisiche e psicologiche altissime e insopportabili.
L’udienza per il ricorso d’urgenza era stata fissata per il 22 giugno. Considerata l’urgenza del caso, l’avvocato Gallo e i legali di Daniela hanno chiesto di anticipare la decisione, ma nessuno ha mai risposto. E Daniela, che avrebbe voluto scegliere come morire, non ha fatto in tempo. È morta il 5 giugno. La visita di verifica della sua condizione da parte dell’ASL di Foggia era programmata per il 7 giugno, 2 giorni dopo.
Daniela si era detta anche pronta ad andare in Svizzera per ricorrere al suicidio assistito, aveva già ricevuto il cosiddetto semaforo verde. Avrebbe preferito evitare un viaggio lungo e doloroso e poter scegliere come morire in Italia con i suoi cari vicini.
Aveva scritto: “Mi rendo conto di non avere più molto tempo. Sono giovane, ho 37 anni. La mia agonia la vedo come uno strazio insostenibile: un corpo giovane impiega molto più tempo a logorarsi fino alla morte. Questa cosa mi terrorizza. Ho vissuto una vita intensa e mi sono amata molto. Ho lottato fino a che ho avuto speranze, adesso nemmeno i medici ne hanno. Sono peggiorata tanto da non riuscire quasi più a curarmi. Ho vissuto una vita da persona libera, adesso vorrei essere libera di morire nel migliore dei modi. Me lo devo, non è giusto soffrire. Vorrei un suicidio medicalmente assistito, bere da me un farmaco capace di porre fine alle mie sofferenze, fare le cose nel migliore dei modi, salutare i miei cari e andare via con il sorriso”.