In Italia è possibile sospendere le terapie anche se utili alla salvaguardia della vita.
Ogni persona ha diritto alla non interferenza sulle scelte che riguardano gli aspetti più intimi della propria esistenza. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel secondo paragrafo introduttivo della sua costituzione, recita:
“La sanità è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non consiste solo in un assenza di malattia o d’infermità”
Su questa premessa risulta facile intuire che le decisioni di quali trattamenti, compresa la scelta di nessun trattamento, promuovano meglio il benessere di un paziente non possono essere determinate oggettivamente, quindi in maniera indipendente dalle preferenze e dai valori del paziente stesso. A questa impossibilità di generalizzazione va a dare risposta l’istituto del consenso informato (vedi art. 32 Cost., art. 3 Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea, Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997 e Legge 219/2017).
Attraverso la Legge 219/2017, il paziente capace di agire ha il diritto di rifiutare qualsiasi accertamento, parte o intero trattamento indicato dal medico per la sua patologia, nonché il diritto di revocare in qualsiasi momento il consenso prestato, anche qualora la revoca comporti l’interruzione della cura.
Rientrano in questo ambito, come da indicazione dell’Organizzazione Mondiale di Sanità e delle società scientifiche italiane, la nutrizione e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione di nutrienti su disposizione medica e attraverso dispositivi medici. La rinuncia di questi, così come di altri trattamenti, può avere come conseguenza diretta o indiretta la morte della persona che non presta il proprio consenso. Qualora questo rifiuto comprometta la possibilità di sopravvivenza della persona, il medico è tenuto a prospettare al paziente e, qualora questi acconsenta, ai suoi familiari, le conseguenze della decisione e le possibili alternative, promuovendo ogni azione di sostegno, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica.
Il rifiuto o la revoca del consenso a un accertamento o a un trattamento, devono essere documentati in forma scritta o, nei casi in cui la persona malata si trovi impossibilitata ad esprimersi in questa forma, attraverso videoregistrazione o dispositivi che le consentano di comunicare.
Sia il consenso informato che l’eventuale rifiuto o revoca del consenso precedentemente prestato, dovranno essere inseriti nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.
Per l’art. 1, comma 6 della legge 219/2017, il medico e l’équipe sanitaria sono tenuti a rispettare la volontà del paziente e, di conseguenza, vengono esonerati da qualsiasi responsabilità civile e penale circa le conseguenze che una eventuale rinuncia potrebbe avere.