Aborto

L’Associazione Luca Coscioni si batte perché tutte e tutti abbiano pieno accesso alla salute e ai diritti riproduttivi, sia attraverso l’impegno per un’adeguata informazione e per un reale accesso ai moderni metodi contraccettivi, sia per garantire il diritto all’aborto.

Aborto: la legge 194/1978

In Italia l’accesso all’aborto volontario è regolato dalla legge 194 del 22 maggio 1978 (Storia dell’aborto in Italia), che, pur riconoscendo il diritto alla vita dell’embrione e del feto, tutela il diritto della donna alla salute fisica o psichica, qualora questa sia messa a rischio dalla prosecuzione della gravidanza, dal parto o dalla maternità.

➡ Il limite dei 90 giorni

Entro i primi 90 giorni (ossia 12 settimane e 6 giorni dall’ultima mestruazione), l’aborto è ammesso sulla base di una autonoma valutazione della donna, che lo richiede perché ritiene che la prosecuzione della gravidanza possa rappresentare un pericolo per la sua salute fisica o psichica. 

Dopo il novantesimo giorno (da 13 settimane, contando dal primo giorno dell’ultima mestruazione), l’aborto è ammesso solo nei casi in cui un medico rilevi e certifichi che la gravidanza costituisce un grave pericolo per la vita della donna o per la sua salute fisica o psichica (a esempio: a causa di gravi anomalie genetiche o di malformazioni dell’embrione o del feto, oppure a causa di gravi patologie materne come tumori o patologie psichiatriche). 

➡ Il documento/certificato

Sia prima sia dopo il novantesimo giorno, per accedere all’interruzione di gravidanza (IVG) la donna deve rivolgersi a un medico (del consultorio o anche un medico di sua fiducia), che deve redigere un documento attestante la richiesta della donna. Il documento (certificato, se il medico attesta l’urgenza della procedura) è indispensabile per accedere all’IVG.

Nel caso in cui il medico non consideri urgente l’intervento, invita la donna a rispettare un periodo di “riflessione” di sette giorni, trascorsi i quali la donna può rivolgersi a un centro autorizzato per l’espletamento della procedura. È importante sottolineare che nella valutazione dell’esistenza di condizioni tali da rendere urgente la procedura, il medico deve sempre tenere presente che l’incidenza di complicazioni aumenta progressivamente con l’aumentare dell’età gestazionale.

Il modo più semplice per ottenere il documento o il certificato è di rivolgersi a un consultorio PUBBLICO, non di ispirazione religiosa. Nella gran parte dei casi il consultorio assicura anche tutta la procedura, fino alla prenotazione nell’ospedale di riferimento.

➡ Aborto terapeutico: cos’è

Secondo la legge 194 del 1978 tutte le interruzioni volontarie della gravidanza sono “terapeutiche”, poiché l’aborto è ammesso solo nei casi in cui la gravidanza o il parto costituiscano un pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Tuttavia, comunemente viene definito “terapeutico” l’aborto praticato oltre il novantesimo giorno di gestazione (cioè nel secondo trimestre di gravidanza).

La legge 194 lo regola agli articoli 6 e 7: l’aborto oltre il novantesimo giorno è consentito

  1. Quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna.
  2. Quando siano accertati processi patologici che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna, quali: gravi patologie della donna, fisiche (a esempio patologie tumorali, cardiopatie gravi, gravi patologie della gravidanza, come la rottura del sacco amniotico con elevato rischio infettivo ecc.) o psichiche; malformazioni o malattie fetali che potrebbero mettere a rischio la salute fisica o mentale della donna.

Questi processi patologici, e il conseguente pericolo per la salute della donna, devono essere certificati dal medico, che può avvalersi a tal fine di apposite indagini (ecografie, risonanze o radiografie, villocentesi e amniocentesi), nonché di consulenze specialistiche (genetista, radiologo, psichiatra).

La legge 194 non definisce un limite di epoca gestazionale per l’aborto terapeutico, ma all’articolo 7 stabilisce che, nel caso in cui il feto abbia raggiunto uno stadio di sviluppo che ne permette la sopravvivenza al di fuori dell’utero (cioè attorno alle 22-24 settimane), il medico metta in atto tutti gli interventi per salvaguardarne la vita; pertanto, al fine di scongiurare la nascita di bambini con gravissimi handicap, si tende a non  procedere oltre le 22-24 settimane, pur tenendo sempre in conto la compatibilità della patologia fetale con la possibilità di vita autonoma.

È dunque praticamente impossibile reperire in Italia centri che pratichino Interruzioni volontari di gravidanza terapeutiche oltre la ventiduesima settimana. Le donne che ricevono una diagnosi di grave patologia fetale oltre quest’epoca gestazionale sono dunque costrette a rivolgersi all’estero per abortire.

➡ Metodiche per l’aborto

L’aborto può essere effettuato con il metodo chirurgico o con il metodo farmacologico.

Il metodo chirurgico viene eseguito generalmente dalla settima alla 14-15 settimana e prevede il ricovero in day-hospital. Consiste nell’aspirazione della camera gestazionale, o isterosuzione, in anestesia locale, con o senza sedazione, o in anestesia generale. Il raschiamento è gravato da maggiori complicazioni rispetto all’isterosuzione e non dovrebbe essere eseguito se non in rarissimi casi particolari.

Per l’aborto farmacologico (QUI ulteriori informazioni) si utilizzano due farmaci, il mifepristone, più noto come RU486, e una prostaglandina, il misoprostolo. È una procedura altamente sicura ed efficace, che può essere eseguita in regime ambulatoriale oppure in ospedale, in regime di ricovero di day-hospital.


La situazione oggi

In base alla relazione al Parlamento sull’applicazione della Legge 194 in Italia nell’anno 202o (Consulta il testo qui), il numero di IVG risulta essere stato di 66.413 interruzioni volontarie di gravidanza, con una riduzione del 9,3% rispetto al dato del 2019. Negli anni dal 1983, anno in cui si è avuto il più alto numero di IVG in Italia, pari a 234.801 casi, si è rilevata una continua diminuzione.

➡ QUI TUTTE LE RELAZIONI ED I NOSTRI COMMENTI

Dalla relazione ministeriale si può vedere come, dopo oltre 40 anni (→Ascolta l’intervista a Mirella Parachini sui 40 anni della legge), la legge sia ancora applicata male e addirittura non applicata in molti suoi punti e in molte aree del nostro paese, un quadro grave e ben descritto dall’indagine Mai Dati, consultabile sul nostro sito. Inoltre, dopo oltre 40 anni, la legge stessa ha mostrato inadeguatezze nel testo, da cui originano ingiustizie inaccettabili e che dovrebbero essere modificate per garantire realmente a tutte il diritto alla salute, se non quello all’autodeterminazione.

La principale riguarda gli articoli 6 e 7 della legge: nel caso in cui sia fatta una diagnosi tardiva di grave patologia fetale, oltre la ventiduesima settimana, quando il feto ha raggiunto la possibilità di vivere al di fuori dell’utero (viability), la donna è costretta ad andare all’estero per abortire. Oltre quell’epoca gestazionale, infatti, si deve provocare con i farmaci un travaglio abortivo e il medico che esegue l’aborto dovrebbe mettere in atto quanto possibile per salvaguardare la vita del feto; non potendo eseguire il feticidio, qualora il feto, seppur affetto da gravissima patologia, nascesse vivo, il medico dovrebbe rianimarlo, aggiungendo al danno della malattia primaria anche quello legato alla grave prematurità.

Lo stesso limite del novantesimo giorno è causa di ingiustizie, stabilito esclusivamente dalla fantasia del legislatore. Lo sviluppo intrauterino è infatti un continuum, nel quale si può definire un punto di interruzione solo con il raggiungimento della viability. Anche in questo caso, le donne che fossero arrivate tardivamente a una diagnosi di gravidanza, in assenza di condizioni previste dagli articoli 6 e 7 della legge 194, dovrebbero recarsi all’estero per interromperla.


Cosa facciamo noi

L’Associazione Luca Coscioni offre strumenti di denuncia contro le inadempienze legate alla cattiva applicazione o alla non applicazione della legge, nonché contro le condizioni che costringono le donne a penosi viaggi all’estero. Donne o coppie che si siano trovate in queste condizioni potrebbero aiutarci a portare il problema davanti ai giudici, anche a livello internazionale.

L’Associazione Luca Coscioni si batte per la piena applicazione della legge 194 attraverso l’impegno per:

  • Garantire a tutte le donne la possibilità di scelta della metodica per l’IVG, permettendo realmente l’accesso alla IVG farmacologica, che attualmente non è garantito in molte regioni italiane.
  • Applicare pienamente l’articolo 9 della legge 194, che regola il diritto del personale sanitario a sollevare obiezione di coscienza: la legge sottolinea infatti che, a fronte di una richiesta di IVG, la struttura cui la donna si rivolge è tenuta in ogni caso a garantire l’espletamento della procedura.
  • Definire e limitare le figure professionali che possono sollevare obiezione di coscienza.
  • Garantire a tutte e a tutti l’informazione sui medici obiettori, che sono in ogni caso tenuti ad inviare la donna a un medico non obiettore.
  • Vigilare e garantire l’applicazione dell’articolo 15, perché tutte le donne possano avere accesso ai più moderni e aggiornati standard di cura; ciò impone l’obbligo di aggiornamento su tale tema e sulla contraccezione per tutto il personale sanitario, anche per gli obiettori di coscienza.

L’Associazione si batte inoltre per la modifica delle parti della legge che hanno dimostrato le maggiori criticità:

  • Articolo 4, che stabilisce il limite di 90 giorni per l’aborto “on demand”, basato sull’autonoma valutazione della donna.
  • Articolo 5, che stabilisce l’obbligatorietà del documento o del certificato rilasciato dal medico, e che prevede un periodo di “riflessione” di 7 giorni.
  • Articoli 6 e 7, che regolano l’aborto volontario cosiddetto terapeutico.
  • Articolo 9, che estende il diritto a sollevare obiezione di coscienza anche al personale esercente le attività ausiliarie.

Testi a cura delle dottoresse Mirella Parachini e Anna Pompili — Ultimo aggiornamento: 29 novembre 2022