Bio:
Sabrina Di Giulio, ha 59 anni, ed è un’insegnante elementare e di educazione fisica. Ha scoperto di essere affetta da Sclerosi Laterale Amiotrofica forma spinale nel 1994.
La Sclerosi Laterale Amiotrofica o SLA è una patologia neurodegenerativa caratterizzata dalla perdita delle cellule motoneuronali, che progressivamente determina una paralisi deimuscoli volontari. I motoneuroni sono infatti le cellule che determinano la contrazione ed il trofismo muscolare.
Sono quindi fondamentali per il movimento, ma anche per la deglutizione e respirazione, funzioni vitali per l’organismo.
Si può solo immaginare quale importanza avesse per Sabrina, il movimento e quale senso di smarrimento abbia vissuto quando, anni fa le è stata diagnosticata la Sclerosi Laterale Amiotrofica.
I medici inizialmente avevano diagnosticato un danno localizzato al braccio sinistro e che però poteva affrontare tranquillamente una gravidanza.
A pochi mesi dalla diagnosi Sabrina rimane incinta.
Il lunghissimo travaglio probabilmente accelerò il decorso della malattia. Per Sabrina è stato difficile accettare il progressivo e rapido peggioramento, proprio quando avrebbe avuto bisogno di maggiore energia per far fronte alle esigenze di suo figlio. Fortunatamente il suo desiderio di crescere suo figlio le ha dato la forza di reagire e di seguire ogni istante della sua crescita. È difficile immaginare cosa vuol dire non riuscire ad accarezzare il proprio figlio. Adesso Lorenzo è un brillante ragazzo di cui è molto fiera e che rappresenta la sua motivazione principale verso la vita.
La SLA è una malattia terribile perché ha effetti devastanti sul sistema neuro- muscolare; Sabrina è quasi completamente immobile, non è più padrona del suo corpo che è curato da terzi, attualmente deve essere aiutata in tutte le attività quotidiane come lavarsi, vestirsi, mangiare, assumere farmaci.
Sabrina deglutisce con difficoltà, riesce solo a ingoiare porzioni minime di cibo, ma questo le permette ancora di sentire i sapori. La sua alimentazione avviene attraverso una valvola posizionata sullo stomaco, la PEG, che permette l’inserimento di alimenti liquidi.
La cosa che più rattrista Sabrina Di Giulio è la difficoltà di linguaggio, dovuta sempre ad un fatto muscolare; solo le persone che la frequentano per un po’ riescono a capirla e non tutte: dipende dalla loro disponibilità all’ascolto. Lei stessa scrive:
Molti provano imbarazzo, altri preferiscono pensare che io non capisco più niente, essendo quasi muta, e questi mi fanno saltare i nervi! Sono riuscita ad avere dalla ASL un computer dotato di un programma particolare, che mi permette di fare qualunque cosa, come scrivere o andare su internet.
È stato molto importante per me, perché ha colmato in parte il mio silenzio, ma soprattutto perché ho riacquistato uno spazio di autonomia, ed è stato bellissimo. È fondamentale, in una patologia che costringe a dipendere completamente dagli altri, ritagliarsi momenti in cui ci si può sentire ancora normali e sani!
I primi anni la malattia ha avuto un decorso molto veloce, poi ha rallentato. In questi anni ho fatto l’unica cura ufficiale a base di riluzolo e poi una serie innumerevole di cure alternative come l’ayurveda, la medicina cinese, quella africana e molte altre che ho persino dimenticato. Ho incontrato persone in buona fede e altre senza scrupoli, pronte a speculare persino sulla malattia. Faccio regolarmente fisioterapia e i normali controlli di routine.
A tale proposito mi succede che, dopo le visite, impiego molto tempo per riprendermi dalla tristezza. Il muro che c’è tra medici e pazienti potrebbe essere abbattuto, in favore di un rapporto più umano. Una parola di speranza detta da un dottore può avere un potere terapeutico molto più efficace di qualunque farmaco. Essere trattati solo come malati, inoltre, comporta il rischio che, una volta fuori dallo studio medico, la persona continui a identificarsi unicamente in quel ruolo. Questo può portare alla depressione, che può avere un effetto più distruttivo della malattia stessa.
Un ruolo fondamentale hanno i miei familiari che con il loro affetto mi aiutano ad andare avanti e mi fanno sentire amata. Mia madre , mio marito, mio figlio e gli altri componenti, mi sono vicini e mi fanno sentire parte integrante della famiglia. Io faccio la mia parte, occupandomi attivamente con l’aiuto di mia mamma e delle assistenti della organizzazione della casa e di mio figlio, fin dalla nascita e ora è un uomo di cui sono molto orgogliosa.
Da quando sono malata ho imparato a capire i miei desideri, ad essere più attenta ai miei stati d’animo e a rispettarli. La mia forte convinzione che la malattia sia una manifestazione esteriore di una causa più profonda, inconscia, mi ha spinto verso una ricerca interiore, che mi sta facendo conoscere meglio me stessa. “Fermarmi” ha comportato un nuovo confronto con gli altri e occhi diversi per guardare dentro di me. Oggi sono più consapevole e so capire meglio dove voglio andare.
In questo mi è stato molto d’aiuto il lavoro fatto con la psicologa. Avere un atteggiamento positivo e trovare ogni giorno una rinnovata speranza di guarigione, è secondo me la carta vincente per sopravvivere a questa terribile patologia. La ricerca sulle cellule staminali embrionali umane costituirebbe una reale possibilità di cura per la mia e per molte altre malattie incurabili, se non fosse stata vietata dalla legge 40 sulla fecondazione assistita.
Mi piacerebbe far capire a tutti, quanto possa divenire insopportabile per me, vivere con i limiti imposti da questa malattia altamente invalidante, non potendo più sperare in qualche scoperta scientifica, che possa migliorarmi la vita. Se non avessi avuto in questi anni la convinzione che si può trovare una soluzione alla mia malattia, non sarei ancora qui oggi, ve l’assicuro! Quello che mi ha dato e mi dà la forza di andare avanti è soprattutto un atteggiamento positivo, vitale, che solo la speranza può dare!