Uccidono per la droga non per le serie tv

L’Espresso
Roberto Saviano

È il controllo dello spaccio il movente degli omicidi di camorra. Chi sproloquia di emulazione dovrebbe pensare invece alla depenalizzazione

Mischiare i piani, confondere le idee, è un’arte; bisogna saperlo fare e trovare chi si assume la responsabilità di veicolare parole spacciandole per informazione, per “il caso”, per “l’opinione”, per “la polemica” del giorno. A Napoli c’è un gioco di strada che la crisi economica ha di molto fiaccato. Un gioco che dopo “Pacco,doppio pacco e contropaccotto” (1993) film di Nanni Loy, cult per la mia generazione, non ha smesso di mietere vittime. Anzi, chi come me è cresciuto in provincia conosce molti provinciali che negli anfratti del Rettifilo di Napoli non riuscivano a resistere alla tentazione di mettere alla prova la propria furbizia nel puntare sulla carta giusta, per strappare una banconota da cinquantamila lire e tornare dagli amici di provincia a vantarsi di essere riuscito a truffare i truffatori. A nessuno veniva in mente di incolpare Nanni Loy per il gioco delle tre carte, nessun genitore pensava fosse per quel film che i loro figli facessero filone (marinassero la scuola) per andare a Napoli a farsi fregare soldi.

Leggo poi su Facebook lo status divertente di un amico giornalista, Claudio Pappaianni. E un ricordo del luglio 1998. Claudio vive a Piazza Cavour, in pieno centro storico, alle porte della Sanità. È alla fermata della Metro dove aspetta un amico. Vede avvicinarsi bambini in sella a una bicicletta, quello che sta dietro imbraccia un fucile ad acqua. Teme di essere lui il bersaglio, ma non è così, colpiscono un loro coetaneo e gli urlano “Muori!”. Giochi di strada o gli effetti di “Baywatch” sui bambini di Napoli degli anni Novanta? Ma veniamo alle cose serie. A Napoli si spara e non per gioco, non per emulazione, ma per conquistare piazze di spaccio. Chi perde tempo a parlare d’altro, chi indugia sulle presunte e assurde proprietà emulative di film, serie e libri, ammetta di non capire nulla di ciò che accade e o di parlare in assoluta cattiva fede. I ragazzi ni in strada hanno modelli molto più vicini da emulare e sono i loro padri e i loro fratelli maggiori. L’omicidio a Marano del 7 maggio scorso è la risposta alla cosiddetta strage delle Fontanelle. A Marano due killer ammazzano in un’officina Giuseppe e Filippo Esposito, padre e fratello di Emanuele Esposito, secondo le indagini esecutore della strage delle Fontanelle, il cui mandante sarebbe Antonio Genidoni. Esposito chiama Genidoni al telefono che è agli arresti domiciliari a Milano e in una conversazione intercettata (è agghiacciante, ascoltatela, è reperibile online) Genidoni medita vendetta: «Ora gli devo mettere le bombe e gli uccido pure i neonati. Con le bombe! Non si usano più le pistole ora!». Tutto questo da Milano, dove Esposito e Genidoni sarannoarrestati il 9 maggio.

Ma torniamo a Napoli. Henry John Woodcock, il magistrato che ha istruito il processo alla “paranza dei bambini” parla agli studenti della facoltà di Giurisprudenza della Federico II e dice cose fondamentali. La prima: più che Gomorra i bambini come modello prendono i terroristi islamici. La seconda: a Carnevale i ragazzini in alcune zone si sono travestiti da Emanuele Sibillo (il baby-boss ucciso a Forcella l’anno scorso) e non da Genny Savastano. Ma la più importante a mio avviso è questa e riporto le parole di Woodcock: «Una delle prime soluzioni da considerare ai recenti fenomeni criminali giovanili potrebbe essere la legalizzazione delle droghe leggere. Questa affermazione che può sembrare strana fatta da un magistrato ha invece un senso ben preciso: molti omicidi vengono commessi per una piazza di spaccio della droga e questo spiega perché c’è gente che è disposta a morire per un portone, per un basso dove si vende marijuana».

Teniamole presenti queste parole quando il 27 giugno in Parlamento andrà in discussione la proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis presentata dall’intergruppo parlamentare guidato da Benedetto Della Vedova. Teniamole presenti perché non è per mera imitazione che avvengono gli omicidi, ma per denaro, profitto, guadagno. “Gomorra” è stereotipo da combatrere, uccidono come in “Gomorra”, insultano come in Gomorra, in “Gomorra” manca un personaggio positivo, in “Gomorra” manca speranza. Parole utili ad alimentare dibattiti inutili, a riempire le ultime pagine dei giornali, quando ormai non si ha più voglia di costruire nulla che somigli anche vagamente a informazione.