Giovanna, Marco, e il diritto di morire senza dolore

Vanity Fair
Daria Bignardi

Morire senza soffrire, questa la prossima battaglia sui diritti civili, perché il dolore fisico è una tortura ingiustificata e purtroppo ancora oggi tollerata dalla nostra società che ama definirsi “moderna”.

Morire senza soffrire: è questa la prossima battaglia sui diritti civili.

Marco Pannella, il simbolo della politica bella dei diritti, e Giovanna Cavazzoni di Vidas, l’associazione che fondò trentaquattro anni fa per assistere i malati terminali di cancro e della quale oggi è presidente Ferruccio de Bortoli, sono morti a un solo giorno di distanza.

Delle urla di dolore di Giacinto Pannella detto Marco, per le metastasi che gli sgretolavano le ossa, non avremmo mai voluto leggere ma anche lui, che ha incarnato infinite battaglie, non si è sottratto alla legge arcaica del dolore.

Giovanna Cavazzoni era una donna severa e garbata che con discrezione e determinazione lavorava da una vita contro l’ingiustizia del dolore fisico dei malati terminali. L’avevo conosciuta tanti anni fa, io ero appena arrivata a Milano e lei aveva appena fondato Vidas. Aveva un anno meno di Marco Pannella e apparentemente, ma solo apparentemente, nulla in comune con lui. Aveva fondato a Milano, nel 1982, Vidas, associazione di assistenza gratuita ai malati terminali.

Chiunque abbia patito l’ingiustizia del dolore fisico o visto soffrire una persona vicina sa bene quanto il dolore fisico sia inaccettabile e senza senso, molto più della morte. La morte fa parte della vita: ci prepariamo a morire da quando acquistiamo coscienza.

Muoiono le piante, i fiumi e gli animali: moriamo tutti e tutti lasciamo qualcosa. Invece il dolore fisico non genera nulla: come la tortura è un crimine, tollerato e giustificato da una società primordiale. L’unica cosa che ci difende dal ricordo del dolore è la memoria, che lo cancella. Ma non è giusto dimenticare, così come non è giusto soffrire.

Meglio ricordare, e lottare perché nessuno debba essere abbandonato all’ingiustizia della sofferenza fisica. La legge per le cure palliative, anche grazie al lavoro discreto e instancabile di persone come Giovanna Cavazzoni, oggi esiste, ma può e deve essere migliorata. Mentre i dolori dell’anima possono, a volte, farci diventare persone più profonde e umane, più in comunione coi dolori e le ingiustizie di un mondo pieno di ingiustizie e dolori, le sofferenze fisiche, soprattutto quelle insuperabili, quelle senza speranza, ci umiliano e ci distruggono.

Che siate buddisti, induisti, agnostici, cristiani, ebrei, animisti: in qualunque cosa crediate o non crediate, non accettate l’ineluttabilità del dolore.