Eterologa: sul web esplode il fai da te

Donna Moderna
Fabio Brinchi Giusti

Per approfondire puoi guardare anche la nostra inchiesta “Il seme della discordia”

Dal 2014 la fecondazione eterologa è legale anche in Italia. Se uno dei genitori è sterile, può usufruire del seme o degli ovuli di un donatore o di una donatrice esterna.

Ma scarsa volontà politica e difficoltà burocratiche continuano a rendere questa pratica costosa, esclusiva, complicata per chi vuole accedervi. Coppie, single e donatori finiscono così per organizzarsi su Internet.

Perché è così difficile accedere all’eterologa?

L’associazione “Luca Coscioni” ha lanciato l’allarme: a due anni dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha riconosciuto l’eterologa come un diritto, in Italia accedervi è ancora un lusso riservato a pochi.

Il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, non ha mantenuto la promessa di inserirla fra i LEA (i livelli essenziali di assistenza) ovvero fra quelle prestazioni che lo Stato deve garantire ad ogni cittadino.

Mancando poi una legislazione nazionale, le regioni si sono auto-organizzate concordando e approvando fra di loro, poco dopo la sentenza della Consulta, un documento unitario che regolamentava l’eterologa nel nostro Paese.

Ma di fatto, oggi, è possibile accedere a questo tipo di fecondazione, negli ospedali pubblici, solo in tre regioni italiane: Emilia Romagna, Toscana e Friuli Venezia Giulia e solo in Emilia Romagna la prestazione è completamente gratuita.

Nel resto d’Italia mancano i donatori, oppure mancano i soldi, oppure continuano a sussistere difficoltà burocratiche nell’applicazione del documento.

Nei fatti, il servizio è offerto solo da cliniche private dove costa fra i 2500 e i 5.000 euro. Prezzi decisamente alti, non alla portata di tutti. 

Si diffonde così la fecondazione fai da te

Ma poiché il desiderio di un bambino è più forte degli ostacoli burocratici o dei prezzi troppo alti, nel nostro Paese si sta diffondendo sempre di più la fecondazione fai-da-te.

La coppia di aspiranti genitori (ma talvolta sono anche donne single o coppie lesbiche che per legge non possono accedere all’eterologa in clinica) cerca il donatore su Internet o su Facebook.

Si possono trovare facilmente annunci come: “Ragazzo 1,80, occhi chiari, capelli castani, laureato” oppure “Uomo serio, 1,90 x 80 kg, moro, già tre donazioni di successo all’attivo”.

La coppia sceglie così il donatore preferito e lo contatta privatamente. Spesso la scelta ruota intorno a fattori estetici o professionali. Scrive una donna in uno di questi post: “Io sono castana e non tanto alta, vorrei che mio figlio mi assomigliasse”. 

La storia di Marco, donatore 

Marco, donatore da tre anni, spiega come funziona: «Quando ti cercano per essere aiutati, in primis è necessario essere umili, sinceri e aver rispetto di chi ti cerca». Il donatore si presenta con esami sul suo stato di salute, non deve avere malattie ed essere fertile. «C’è chi lo fa per soldi, io invece lo faccio per aiutare le persone a realizzare un sogno. Chiedo solo un rimborso spese per il viaggio e per l’hotel».

Esistono due modi per donare: «Il naturale, attraverso un rapporto sessuale, o quello artificiale. In questo caso, con una normale siringa da farmacia, si inietta lo sperma (raccolto in un vasetto sterile) nell’utero. In genere la donazione dura tre giorni, mattina e pomeriggio. Poi dopo qualche mese si scopre se ha avuto successo o meno».

Marco racconta di avere diciotto bambini biologici sparsi per l’Italia ma di non sapere nulla di loro: «Chi dona è cosciente che quel figlio non sarà mai suo. Io non voglio sapere nulla di loro, non chiedo neppure di mandarmi qualche foto. Se entrassi nella vita del bambino, sarebbe un trauma per lui».

La storia di Adele, single in cerca di un figlio

Adele, maestra, è invece una ragazza di 38 anni. Single, sta cercando un donatore per il suo bambino: «Non è facile, non c’è nessuna sicurezza o garanzia. È vero ci sono gli esami, ma alla fine tutto si basa sulla fiducia reciproca. Molti donatori, poi, vogliono solo fare sesso. Io per cautelarmi dico subito che voglio solo il metodo artificiale».

Adele vorrebbe che suo figlio avesse l’opportunità di conoscere il papà: «Crescerò io il bambino e mi occuperò della sua educazione. Ma vorrei che quando i suoi compagni parleranno del papà, anche lui potrà parlarne e dargli un volto. Saprà che l’ha voluto come me, anche se non è presente tutti i giorni. È comprensibile che voglia sapere e io voglio assolutamente dargli questa possibilità. Gli racconterò la verità, sin da subito: gli dirò che la mamma voleva tanto un bambino, anche se da sola. E, cercando, ha trovato un uomo disponibile ad aiutarla. Quando sarà più grande, gli parlerò in maniera più concreta».

Più difficile invece dire la verità agli altri: «Forse lo direi solo a mia madre. Agli altri dirò che è stata un’avventura di una notte e che il padre non vuole riconoscerlo. Quando si tocca quest’argomento, il 90% delle persone giudica senza capire».