Sulle droghe all’Onu hanno parlato molto e deciso poco. Fortunatamente!

Huffington Post
Marco Perduca

La XXX sessione speciale dell’Assemblea generale dell’ONU, UNGASS, interamente dedicata al “controllo mondiale delle droghe“, si è conclusa il 21 aprile. Molto è stato detto, poco è stato deciso, ma è stato meglio così.

La riunione s’è aperta con l’adozione del documento di chiusura. Una “innovazione” cronologica che dimostra come sugli stupefacenti all’ONU esistano approcci molto diversi che (ma ancora per quanto?) sconsigliano scontro diplomatici diretti. Sapendo che metter tutti d’accordo sarebbe stata un’impresa improba, come spesso accade in circoli diplomatici, per dar non far fallire un’importante incontro internazionale si è dato il segnale di esser d’accordo nel non esser d’accordo. È stato prodotto un documento molto lungo che avrebbe consentito un po’ a tutti di prenderne le distanze per vari motivi in fase di dichiarazione di voto. E così è stato.

[clicca qui per leggere il “Documento Conclusivo UNGASS 19-21 Aprile 2016 – New York“]

Le 24 pagine della dichiarazione finale passano in rassegna tutti i problemi connessi alle droghe senza analizzarli alla radice né, soprattutto, offrono approcci sostanzialmente diversi da quelli contenuti in un documento simile adottato nel 2009: riduzione della domanda e dell’offerta, cooperazione internazionale contro il narco-traffico e sviluppo alternativo erano, e restano, i pilastri su cui si dovrà operare. La riduzione del danno non viene mai nominata in quanto tale, anche se i suoi elementi costituenti son presenti.

L’unica novità rispetto agli interminabili giri di parole tipicamente onusiani è stata l’introduzione di un chiaro riconoscimento a una flessibilità interpretativa delle tre convenzioni per consentire depenalizzazione, interventi socio-sanitari innovativi e usi tradizionali. La Giunta internazionale sugli stupefacenti, INCB, continua però a ritenere che la flessibilità non possa includere la legalizzazione degli usi non medici o scientifici delle sostanze oggi proibite.

Le sessioni speciali delle Nazioni Unite vengono convocate per affrontare temi di importanza e rilevanza globale nelle loro sfaccettature e implicazioni. Il fine ultimo di questi summit è adottare linee guida di cooperazione internazionale condivise – possibilmente efficaci – per proporre soluzioni al problema. Dalla fondazione delle Nazioni unite tre sono stati i summit interamente dedicati agli stupefacenti: nel 1990, all’indomani dell’adozione della terza convenzione sulle sostanze; nel 1998, per celebrare il decennale dell’adozione della convenzione del 1998; e nel 2016, come tappa intermedia sulla via della revisione decennale di una “dichiarazione politica” adottata nel 2009.

Il sistema della Nazioni unite prevede che specifici temi siano affrontati da agenzie o uffici creati ad hoc. Nel caso degli stupefacenti l’ufficio competente, UNODC, si trova a Vienna e tratta di droghe e crimine. Se per temi come la riduzione della povertà, lo sviluppo sostenibile o il controllo climatico, esistono ampie convergenze di visioni e di risposte programmatiche, per quanto riguarda il “controllo delle droghe” gli schieramenti son da sempre meno netti e, solo recentemente, si stanno creando delle lievi fratture nel consenso proibizionista ultra quarantennale.

Il successo di una sessione speciale della Nazioni unite risiede nell’adozione di un risoluzione, o dichiarazione, che non solo elabori proposte ma adotti anche un piano d’azione per promuoverle e valutarle strada facendo. Se dovessimo leggere quanto deciso a New York il 21 aprile scorso con questa ottica, si potrebbe parlare di un patente fallimento dell’incontro. infatti, oltre a non esistere un calendario per l’implementazione di quanto deciso, gli obiettivi fissati dalla dichiarazione finale sono la riproposizione di ricette che hanno ampiamente dimostrato di non riuscire ad affrontare il problema posto anzi!.

Per quanto le tre convenzioni delle Nazioni unite del 1961, ’71 e ’88 non prevedano esplicitamente l’imposizione di sanzioni penali per l’uso delle sostanze, dall’inizio degli anni Settanta la stragrande maggioranza dei governi del mondo, con le motivazioni più varie ma raramente connesse al reale “controllo delle droghe”, hanno fortemente penalizzato qualsiasi rapporto con gli stupefacenti lanciando una vera e propria guerra alle droghe che presto è diventata una guerra contro chi ne faceva uso.

Dagli anni Novanta, in reazione all’adozione della terza convenzione incentrata principalmente alla cooperazione internazionale relativa alla lotta al narco-traffico, in molti paesi sono nate iniziative contrarie alla proibizione promosse per limitare i danni della penalizzazione e dell’uso problematico degli stupefacenti. Il culmine mondiale di questa mobilitazione antiproibizionista popolare si è avuta in Italia nel 1993 quando, su iniziativa dei Radicali, un referendum abrogò le sanzioni penali per il consumo personale di tutte le sostanze illecite.

In questli stessi anni, in altri paesi europei, anche per combattere la diffusione dell’HIV/AIDS, la riduzione del danno, con la promozione di politiche socio-sanitarie ad hoc, terapie sostitutive, siringhe sterili, assistenza psicologica fino alla distribuzione dell’eroina sotto controllo medico, divenne una pratica diffusa mentre sulla depenalizzazione si registrarono, e registrano, alti e bassi in termini di priorità in gestione dell’ordine pubblico.

Se nei paesi di consumo qualcosa si muoveva, con la rilevante drammatica eccezione degli Stati Uniti, nei paesi di produzione, la regione andino-amazzonica per quanto riguarda la foglia coca per la cocaina, e il sud-est asiatico per quanto riguarda il seme di papavero per eroina – la cannabis ha una produzione molto più diffusa – la situazione si deteriorava drammaticamente trasformando le droghe proibite in un una straordinaria fonte di finanziamento per conflitti di ogni genere.

[…] Il culmine dell’impiego delle droghe proibite come moneta parallela per il finanziamento di fronti caldi della Guerra Fredda si raggiunse a metả degli anni Ottanta con l’affare Iran-Contras che elevava le droghe proibite a vera e propria moneta parallela e, successivamente, con l’avvento dei talebani in Afghanistan a seguito del ritiro dell’Armata rossa.

Il mondo si divideva tra i ricchi che iniziavano a curare le proprie “dipendenze” (anche se il consumo resta nel 90% dei casi non problematico) in maniera progressivamente compassionevole e i poveri che si ammazzavano per un pugno di dollari.

Negli ultimi quarant’anni molto è fortunatamente cambiato. Là dove si sono introdotte riforme strutturali, il cambiamento è avvenuto principalmente per lotte civili che son partite dal basso, da chi viveva sulla propria pelle una limitazione di libertà o delle sistematiche violazioni di diritti umani. Ma siamo ancora lontani da un mondo libero dai problemi creati dal proibizionismo.

[…] Che nelle 24 pagine della dichiarazione finale non ci siano accenni al rilancio di ciò che non ha funzionato è un primo passo verso la prossima UNGASS prevista per il 2019. Se però nessuno si assumerà la responsabilità di arrivare a quella data con una valutazione seria di quanto non è stato raggiunto e, soprattutto, del perché non ci si sia riusciti, per la prima volta toccherà boicottare le Nazioni Unite per la complicità nella promozione di politiche che violano diritti umani in mezzo mondo.

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