Etica delle surroganti

InGenere
Zsuzsa Berend

In diversi paesi europei in cui la surrogacy è bandita si è acceso il dibattito. Sostenitori e oppositori della surrogacy soppesano le problematiche etiche e pratiche così come è avvenuto negli Stati Uniti dove poi è diventata una pratica legale. Per prendere posizione, può essere utile contemplare il punto di vista delle “surroganti” (le donne che hanno fatto gestazione per altri), invece le loro opinioni vengono spesso ignorate sia dagli oppositori che dai sostenitori di questa pratica. Per un decennio ho svolto ricerca etnografica a partire dalla community di www.surromomsonline.com (le cui frequentatrici si autodefinisconoSMO), il più grande sito e forum statunitense di informazione e sostegno alle surroganti.

Il sito ci consente di avere uno sguardo dall’interno e individuare gli argomenti che alle surroganti interessano di più. Le loro discussioni sul forum ci raccontano di come le surroganti vivano diverse questioni, per esempio: il denaro, i contratti e le relazioni. I “thread” (ossia i temi lanciati dalle utenti) ci rivelano, per esempio, come il loro impegno morale non sia solo nei confronti delle “coppie che meritano un figlio” – solitamente di classe media, stabili, ben educate, “coppie che si amano” etero o omo che spesso hanno un vissuto di fallimenti e perdite nella loro ricerca di un figlio – ma anche del bambino che, in un certo senso, “affida la sua vita” alla surrogante quando “decide di attecchire e crescere”.

L’etica delle surroganti è fondata sul “viaggio d’amore” che implica un dare reciproco. È questo il loro modo di intendere la relazione contrattuale in cui una donna porta in grembo e fa nascere un bambino per “i genitori promessi” (intended parents) ricevendo un compenso economico. Quando le surroganti enfatizzano il coinvolgimento emotivo, stanno sottolineando la natura etica, privata e unica della relazione, elevando l’amore al di sopra dei termini contrattuali. È sulla base della promessa che hanno fatto alla coppia a cui si sono legate (o con cui sperano di legare) che la surrogante nutre il feto come il “bambino ancora non nato” dei genitori promessi. Numerosi thread parlano di quella che le surroganti chiamano la “chimica”: “Non ami quel momento in cui scatta il click con i tuoi genitori promessi?” “Oddio si! È una sensazione fantastica. Ti sembra di conoscerli da sempre”. Quando le surroganti parlano del “click”  e dei genitori promessi come della “coppia giusta” costruiscono una narrazione che situa l’interazione nella sfera intima, alla quale la procreazione appartiene. In questo modo affermano l’aspetto privato e non negoziabile di una scelta individuale: “non mi importa cosa pensano gli altri, fintanto che so nel profondo del mio cuore che sto seguendo la mia vocazione” .

Quello che le surroganti pensano spesso è che la loro vocazione sia “proteggere il più vulnerabile, il nascituro”. Il dibattito si scalda quando si parla di riduzione selettiva (ossia di un aborto selettivo in una gravidanza multi-fetale per ridurre il numero di feti) e di interruzione di gravidanza in caso di anomalie che non rappresentano una minaccia di vita, come per esempio la sindrome di Down. Questi dibattiti ci danno indicazioni su quale sia il punto di vista delle surroganti sulla responsabilità etica. Molte surroganti sono “pro-choice” ma non interromperebbero mai una gravidanza; scelta per loro significa che le donne dovrebbero essere libere di fare quello che vogliono con il proprio corpo, anche la surrogacy o la donazione di ovuli. Altre si dicono orgogliosamente “pro vita”.

Tutte loro si pongono il problema della riproduzione per terzi: ossia cosa succede quando la gestazione e la genitorialità coinvolgono persone diverse che hanno un diverso coinvolgimento nel processo. Le surroganti sono sempre più del parere che la soluzione sia nel rispetto di queste differenze, e insistono nel ribadire che, se le parti non sono in accordo su questi temi fondamentali, non dovrebbero imbarcarsi insieme in una surrogacy. Le discussioni tra SMO reiterano la convinzione che surroganti e genitori promessi devono essere sulla stessa lunghezza d’onda su quanti embrioni trasferire prima di firmare il contratto e a quali condizioni interrompere una gravidanza. Il percorso diventa ufficiale alla firma del contratto e i contratti devono rispecchiare un accordo ragionato su tutti i temi sensibili. “È colpa tua se il tuo contratto non prevede tutto questo” è stata la concisa risposta a un post relativo a disaccordo su un’interruzione di gravidanza.

La maggior parte delle donne che frequentano il forum sostiene che la responsabilità di una surrogante inizia prima del concepimento perché, se “la vita inizia dal concepimento”, i concepimenti dovrebbero essere pianificati in modo da creare le migliori condizioni per i nascituri. Il vecchio detto delle SMO “fai il transfer di tanti embrioni quanti bambini puoi portare” è diventato “trasferisci tanti embrioni quanti bambini i tuoi genitori promessi sono disposti ad accogliere” e spesso fa il paio con “pensa alla salute dei bambini”. Le surroganti che “fanno il transfer di un’intera squadra di calcio” (ossia molti embrioni) vengono criticate e tacciate di essere disinformate e analfabete.

Le discussioni testimoniano gli sforzi delle surroganti per bilanciare la partecipazione emotiva con l’insistenza su un comportamento prudente e informato, scegliendo l’etica sia dell’empatia che della razionalità. Ma siccome non c’è un linguaggio che coniughi la coesistenza di una calda empatia e una professionalità affidabile, le donne oscillano tra la lingua dell’amore e quella del lavoro. “Alcune persone non sono d’accordo con l’uso della parola “lavoro”, perché le surroganti non vogliono che si pensi a loro come a delle impiegate” ha scritto Millie “tuttavia, è il nostro lavoro quello di portare il bambino nella pancia, seguire le indicazioni dei medici e rispettare i termini del contratto”.

Rebecca è di un altro parere “La surrogacy non è un lavoro. Credo che nessuno potrebbe pagarmi abbastanza per portare il suo bambino se davvero non ho voglia di farlo… Nel profondo del tuo cuore non pensi che sia un lavoro. Spero che tu trovi una coppia che ti ami davvero”. Rebecca ha sollevato una differenza fondamentale: la surrogacy, a differenza di un impiego, non è solo una transazione di mercato. Le SMO concordano che le surroganti non vendono servizi riproduttivi; spesso scrivono del desiderio di “creare famiglie felici” e “fare la differenza”. Le famiglie in cui coppie stabili, coppie che “se lo meritano” pianificano la nascita di un figlio e superano tutti gli ostacoli per avere dei figli, vengono considerate i mattoni per costruire una società migliore.

Le surroganti parlano della surrogacy in termini più di reciprocità che di lavoro.

È un progetto fondato sulla mutualità in cui le parti hanno diverse ricompense e un’amicizia che si spera durerà nel tempo… discutiamo, siamo d’accordo, non lo siamo e ciononostante sono disposta a superare grandi distanze per fare cose per compiacere la mia coppia di futuri papà. Non sono un’impiegata sono una compagna di viaggio.

La surrogacy è intesa dalle sue protagoniste come un patto di responsabilità condivisa e un dare reciproco. “Io aiuto loro e loro aiutano me e la mia famiglia”. Le surroganti sposano l’idea che la surrogacy è “dare il dono della vita”. Dono significa che in ballo c’è una relazione e questo simboleggia l’opposto della pura utilità. “Nella surrogacy doniamo entrambi: non è un ti do questo mi dai questo, nessuno tiene la contabilità”, spiega Naomi. Lo scambio e la relazione che si crea rappresentano un obbligo morale tra attori morali.

Il “dono della vita” viene considerato come il “dono supremo”, questa interpretazione porta con sé l’associazione al concetto cristiano di sacrificio. “Se qualcuno pensa che io possa portare in grembo il bambino di qualcun altro, proteggerlo e tenerlo al sicuro fino alla nascita e farne una mera transizione economica,  evidentemente non capisce quanto di me c’è in tutto questo”. Tutte le surroganti dicono che il bambino non è mai stato loro perché è della coppia che l’ha voluto, infatti quando parlano del “dono della vita” non si riferiscono al bambino; in un modo piuttosto drammatico, Sandra, una surrogante, definisce il dono che lei e le altre fanno come “sto offrendo il rischio della mia vita per permettere ad altri di avere un figlio. Ecco il mio dono”. Il dono delle surroganti risiede nel loro desiderio di darsi e affrontare il “dolore e la sofferenza” e la responsabilità di una gravidanza e di un parto. Le surroganti affermano che la comunità delle SMO è fatta da donatrici intelligenti, informate, e generose piuttosto che da fornitrici di servizi professionali.

Le surroganti si aspettano di trovare la loro ricompensa nella felicità dei loro genitori promessi.  “Volevo vedere la gioia nei loro occhi e sentire l’emozione nei loro sorrisi” sono sentimenti tipici. Molte surroganti sperano nella continuità della relazione: cartoline, email, fotografie e sono soddisfatte quando gli IP rimangono in qualche modo in contatto con loro. Tuttavia non tutti lo fanno. Alcuni fraintendono le aspettative delle surroganti temendo rivendicazioni future. Le surroganti, che hanno investito in una relazione di reciprocità e si sono prese delle responsabilità complesse, rimangono profondamente ferite quando i genitori promessi tagliano i ponti o definiscono la surrogacy come una transazione economica che hanno “ampiamente pagato”.