L’autodenuncia radicale: “Così abbiamo aiutato Dominique a morire”

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Corriere della Sera
Margherita De Bac
Corriere della Sera – Spera di essere processato Marco Cappato, radicale. Comunque vada, dice, sarà un successo: «Si farà chiarezza su un tema che interessa tutti gli italiani e non i politici». L’ultima iniziativa clamorosa porta di nuovo la sua impronta e quella dell’associazione antiproibizionista Luca Coscioni, coordinata da Filomena Gallo, in prima fila Mina Welby, moglie di Piergiorgio, che si battè per la morte dignitosa. Cappato si è autodenunciato per aver aiutato una donna a interrompere la sua esistenza, pagandole le spese di viaggio.
 

Domínique Velati era una militante storica, mai un incarico dirigenziale. Cinquantanove anni, di Borgomanero, infermiera professionale in un centro di terapia del dolore, nubile, senza figli. Quando ha scoperto di avere un tumore al colon e prospettive di sopravvivenza ridottissime anche con pesanti cure ha avvertito: «Se l’intervento va male, niente chemio». È andata male e ha tenuto fede al proposito di anticipare la fine. Suicidio assistito in un centro tra Berna e Zurigo, in Svizzera. È morta il 15 dicembre, con un’iniezione letale praticata da un medico. Prima di partire aveva organizzato una festa per salutare parenti e amici. Poi ha preso l’ultimo treno. Sorride serena in un’intervista rilasciata a Servizio pubblico a 24 ore dal via: «Dovrò solo avere la forza di stare lì tre giorni per le visite».

Dominique è la testimonial di una forte iniziativa di disobbedienza civile dei radicali. Aperto un conto corrente bancario per raccogliere fondi a favore di «Sos eutanasia», nuova costola della Coscioni, e pagare le spese di viaggio ad altri malati terminali. L’azione contravviene agli articoli del Codice penale sulla reclusione per chi agevola il suicidio in qualsiasi modo.

Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha una visione opposta: «Bisognerebbe aiutare queste persone a vivere e a trovare anche nella malattia dignità e speranza. Spesso dietro questi casi c’è abbandono, solitudine». E il Movimento per la vita: «I radicali sono monatti, speculano sulla morte».

L’Italia è indietro dal punto di vista normativo e della prassi medica. C’è assenza di chiarezza, confusione perfino sui termini, un uso maldestro di termini delicatissimi come accanimento terapeutico, eutanasia attiva e passiva, sedazione palliativa, «staccare la spina». Il testamento biologico, che permetterebbe ai cittadini di esprimere le volontà sul fine vita, non è un atto riconosciuto. La tecnologia allunga la sopravvivenza fornendo macchinari evoluti. I medici hanno paura e non si sentono tutelati.

L’ultimo tentativo di dare forma a una legge risale al 2005, il cosiddetto testo Calabrò, dal nome del deputato di Forza Italia. Poi il Parlamento si è impantanato malgrado in dieci anni gli schieramenti siano cambiati e ricambiati. Nel 2013 i radicali hanno depositato alle Camere una proposta di iniziativa popolare, ferma ai nastri di partenza.

Dove vuole arrivare Cappato? «Un procedimento giudiziario dimostrerebbe che il sostegno al suicidio non è reato. I principi costituzionali sul rispetto dei diritti dell’individuo devono prevalere. Se non sarò perseguito significa che non potrà esserlo nessuno».

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