Un appello al premier: alla Leopolda si discuta anche di droghe

The Huffington Post
Marco Perduca

Ci vien sempre detto che le “droghe” non sono una priorità, a forza di non considerarle tali ci siamo ritrovati ad avere perso numerose occasioni, anche di recente, per riformare leggi e politiche che hanno avuto un impatto devastante sui diritti umani, a partire da quello alla libera scelta consapevole per arrivare a quello alla salute.

Se l’Italia ha sempre bisogno di altro, anzi di “ben altro”, ci sono almeno un paio di appuntamenti che hanno a che fare con le sostanze proibite che non possono non esser presi in considerazione da chi è responsabile del governo del paese. Il primo è la sessione speciale dell’Assemblea generale delle Nazioni unite (UNGASS) interamente dedicata agli stupefacenti, convocata a New York dal 19 al 21 aprile prossimi, il secondo è la sesta conferenza nazionale sulle droghe.

Il sistema delle Nazioni unite, che nell’ultimo quarto di secolo ha lanciato programmi e sostenuto politiche in linea con una restrettivissima interpretazione delle tre convenzioni internazionali in materia di sostante psicotrope ha avviato un percorso preparatorio per arrivare a un dibattito di tre giorni in plenaria al Palazzo di Vetro che affronterà la domanda, l’offerta nonché i danni e rischi legati all’uso e abuso delle sostanze illecite.

La prima UNGASS del 1998 fu convocata dall’allora direttore dell’Ufficio ONU per le droghe Pino Arlacchi con lo slogan “Un mondo senza droga è possibile”. Quando a 10 anni da quei proclami, e con Pino Arlacchi rimosso dall’incarico, il mondo si riconvocò per scoprire che le droghe erano sempre più presenti dappertutto, fu deciso di affrontare le problematiche legate agli stupefacenti con toni meno bellicosi senza però arrivare a lanciare una valutazione laica di quanto prodotto dal proibizionismo in tutto il mondo negli ultimi 50 anni. Da quel 2009 però, un gruppo di paesi ha iniziato a porsi il problema di come in effetti possano esistere approcci di segno e visione diversa da quelli propugnati fino ad allora sotto stretta dittatura proibizionista, principalmente made in USA.

Un paio d’anni fa Messico, Guatemala e Colombia decisero alzare i toni del dibattito all’ONU chiedendo di anticipare l’UNGASS prevista per il 2019 al fine di accelerare il ripensamento delle politiche globali in materia di droghe e, se possibile, fare i conti con una realtà in cui le “droghe” son diventate la moneta delle organizzazioni criminali e il motivo di sanguinose guerre tra bande per il controllo del territorio delle rotte del traffico.

Per quanto l’Europa non abbia colto appieno l’occasione per sostenere le proposte latino-americane di suscitare un dibattito sulle “droghe” basato sui fatti e non sugli auspici, i paesi sud-americani hanno insistito a tal punto da strappare la convocazione della sessione del 2016. Sotto la leadership della Colombia, rafforzata dall’arrivo dell’Uruguay e dell’Argentina, il continente sud-americano ha insistito a gran voce perché si cambi approccio sugli stupefacenti depenalizzando uso e consumo personale, prefigurando programmi di sviluppo alternativo là dove le piante illecite vengono prodotte e affidando quanto più possibile il fenomeno ad attenzioni socio-sanitarie. Naturalmente, ma questo vede gli europei parte attiva, la stragrande maggioranza degli stati membri dell’ONU si dichiara contraria alla pena di morte per reati connessi al narcotraffico.

Dall’8 al 11 dicembre prossimi, e poi ancora a metà marzo dell’anno prossimo, alle Nazioni unite di Vienna si terranno le ultime riunioni preparatorie dell’Assemblea generale dell’aprile 2016, non è dato sapere se il governo invierà qualcuno alle sessioni negoziali e, se mai lo dovesse inviare, quale sarà la posizione italiana sulle questioni più delicate. Se certi temi, come la depenalizzazione, il no alla pena di morte, la cura delle dipendenze o l’uso dei cannabinoidi medici possono risultare difficoltosi da proporre o perseguire a livello mondiale, in Italia oggi, grazie principalmente alla Corte costituzionale che ha annullato buona parte della legge Fini-Giovanardi, siamo avanti rispetto a molti paesi, anche membri dell’EU, per quanto riguarda il ricorso al diritto penale in materia di possesso personale.

Perché allora non farci alfieri di questa nuovo stato di cose nazionale e raccontare come, lentamente e con permanenti difficoltà, questi cambiamenti abbiano avuto un impatto positivo su altre sacche d’illegalità strutturale, come per esempio il sovraffollamento delle carceri? Perché evitare sempre di ricordare che da ormai otto anni in Italia si può prescrivere la cannabis terapeutica e che dall’anno prossimo saremo all’avanguardia mondiale per la produzione dei cannabinoidi medici? Perché non prendere la leadership dell’abolizione della pena di morte per reati di droga dopo averlo fatto per oltre 20 anni a favore di una moratoria universale delle esecuzioni? Perché non condividere i numeri della deflazione carceraria grazie alla depenalizzazione dell’uso personale? Perché non cogliere l’occasione del ritorno di un minimo di presenza della cooperazione italiana nel mondo, che eccelleva, e ancora eccelle, nell’assistenza medica ai poverissimi, e promuovere l’accesso alle medicine essenziali alcune delle quale controllate perché prodotte con sostanze controllate? Perché non dire chiaramente che il quadro politico generale è significativamente cambiato e che all’ONU occorre un dibattito aperto e inclusivo anche di parere non-governativi? Perché? Forse perché al Governo non c’è un ministro o sotto-segretario competente in materia o perché uno dei ministeri principalmente coinvolti nella questione è retto da una Ministro conservatrice?

La seconda questione non ha un appuntamento fissato ma è di altrettanta importanza proprio perché la mancanza di una data per la convocazione della sesta conferenza nazionale sulle droghe è il problema del problema. Secondo la (pessima)legge sulle droghe del 1990, ogni tre anni va convocato un appuntamento istituzionale per fare il punto sulle leggi e politiche in materia di stupefacenti per valutarne, assieme a esperti e operatori, l’impatto e l’efficacia.

L’ultima riunione è stata convocata nel 2009 dal governo Berlusconi senza rispettare il mandato legislativo dedicando due giorni a magnificare i risultati raggiunti dalla proibizione totale di qualsiasi sostanza, suggellando cosìla propaganda governativa che ritenevano d’esser riuscita a controllare il fenomeno e d’aver influito positivamente sul fenomeno limitando la diffusione di alcune sostanze su tutto il territorio. Da quel 2009 son cambiate fortunatamente molte cose, anche ai vertici del dipartimento per le politiche anti-droga, ma, malgrado già il governo Letta avesse accantonato i soldi necessari per la convocazione della conferenza e la nuova direttrice del dipartimento, la Consigliera Patrizia De Rose, abbia avviato una serie d’incontri esplorativi e preparatori di alcune sezioni dell’appuntamento, non si è passati alla convocazione dell’incontro.

La Leopolda non ha rilievo istituzionale, magari non ha neanche rilievo partitico, ma è un appuntamento politico dove verranno affrontati vari temi relativi all’agenda presente e futura dell’Italia. Lasciar fuori un fenomeno che interessa direttamente o indirettamente milioni di persone, non affrontare la mancata applicazione di una norma di legge e non discuter di come l’Italia potrebbe sfruttare a suo vantaggio (siamo pure sempre in campagna elettorale per uno dei seggi a rotazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU) alcune sue eccellenze sarebbe un’occasione sprecata non degna dell’immagine che il governo Renzi vuole proiettare in patria e all’estero. Tra l’altro, qualche giorno fa è stato incardinato il disegno di legge per la legalizzazione totale della cannabis presentato da un gruppo di oltre 200 deputati tra cui una buona metà fa parte del Partito Democratico. Renzi, o chi organizza la Leopolda, ci pensi c’è ancora tempo.