La guerra all’Aids conviene a tutti

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Corriere della Sera
Stefano Vella – Istituto Superiore Sanità

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Guerra è una parola che ricorre spesso in questi tempi oscuri. Qui vorrei però raccontare di un altro tipo guerra, quella scientifica e politica contro un virus che ha ucciso finora 40 milioni di persone, ma che altrettante ne potrebbe uccidere negli anni a venire, se non riusciamo a chiudere il lavoro iniziato 30 anni fa. La guerra non è finita, ma qualche grande battaglia contro l’Hiv, il virus responsabile dell’Aids, è stata vinta. Il 1° dicembre è la Giornata Mondiale della lotta contro questa malattia, di cui in Occidente praticamente non si muore più grazie all’accesso di cocktail di farmaci antivirali: un cambiamento epocale rispetto agli anni 80 e 90. Ma per giungere a questo, ci son voluti ben 15 anni di ricerca dal primo caso di Aids descritto. E comunque, la terapia non è in grado di far guarire, tiene solo il virus sotto controllo, e va assunta a vita.

Il concetto di “salute globale”

La situazione nei Paesi con limitate risorse è tuttora ben diversa: l’infezione galoppa, con due milioni di nuovi casi e un milione e mezzo di morti ogni anno. La comunità internazionale purtroppo si svegliò solo dopo la Conferenza sull’Aids di Durban, nel 2000. Si formò allora una straordinaria «grande coalizione» di ricercatori, medici, attivisti, pazienti, organizzazioni non governative e politici illuminati. E non c’era soltanto un virus da battere, ma anche i grandi interessi di pochi, e l’idea che bastasse controllare le frontiere per fermare un virus che certo non ha bisogno di passaporto. Nel 2001 nacque il Global Fund, grazie al quale la terapia è ora disponibile per milioni di ammalati. E prese piede il concetto di «salute globale», un’area di ricerca e azione orientata al miglioramento della salute di tutta l’umanità e che affronta tutte le malattie dell’uomo in un’ottica multisettoriale, sia per gli aspetti biomedici che per quelli sociali ed economici.

La sfida: combattere le diseguaglianze

Questi dieci anni di lotta all’Aids hanno fatto capire che una delle grandi sfide della medicina è combattere le diseguaglianze nell’accesso alla salute. Che non è soltanto un diritto fondamentale, ma anche uno strumento importante di sviluppo dei popoli. In un mondo globale, occuparsi della salute di chi è più lontano significa anche curare e prevenire le malattie di chi ti sta accanto. E, forse, una delle possibili risposte ai movimenti migratori di coloro che cercano una vita migliore per sé e i propri figli dovrebbe essere l’impegno dell’Occidente per uno sviluppo più sostenibile, che includa, tra le tante cose essenziali, l’accesso universale alla salute.