Fecondazione, la Consulta esamina gli ultimi divieti

L’impossibilità di accedere alla diagnosi preimpianto per le coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche è uno degli ultimi divieti rimasti ancora in piedi della legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita (Pma) che potrebbe essere spazzato via dalla Corte costituzionale oggi stesso.

Dopo l’udienza pubblica tenuta ieri mattina, i giudici della Consulta hanno esaminato – rinviando però il voto ad oggi – la questione di costituzionalità sollevata dal tribunale di Roma in seguito al ricorso presentato da due coppie fertili che non riescono ad ottenere le indagini prenatali di cui necessitano per evitare ulteriori aborti, assistite dagli avvocati Filomena Gallo e Gianni Baldini del’Associazione radicale Luca Coscioni.

Un divieto «che esiste solo nel nostro Paese» e che è «incostituzionale», secondo i ricorrenti, perché impone una «chiara disparità di trattamento in base alla gravità della patologia», permettendo «a chi è infertile di fare la diagnosi preimpianto e a chi è fertile no».

L’avvocatura dello Stato, per la prima volta in una trentina di passaggi davanti alle corti italiane e al terzo davanti alla Consulta, non si è costituita in difesa della norma. Il che lascia prevedere un ulteriore smantellamento da parte dei giudici costituzionalisti della legge-manifesto voluta dagli oltranzisti cattolici, come d’altra parte impone anche una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Se ciò avverrà, forse oggi stesso, della legge 40 rimarranno da smantellare solo altri due divieti: quello di accesso alla fecondazione assistita per le donne single e le coppie omosessuali, e il divieto di ricerca scientifica sugli embrioni sul quale dovrà pronunciarsi entro il 2015 la Cedu.

«La Corte di Strasburgo – spiega l’avvocato Baldini – ha gia condannato l’Italia per l’assoluta irragionevolezza e incoerenza di un sistema normativo che vieta la diagnosi preimpianto alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche, ma consente poi l’aborto terapeutico. E ora è sotto osservazione da parte del Comitato dei ministri».

Purtroppo però in dieci anni e sette governi nessun legislatore ha mai neppure avanzato una timida proposta di riforma della normativa sulla fecondazione artificiale lasciando ai giudici il peso di ristabilire la legalità costituzionale, onde evitare le ire vaticane.

Così, la Corte costituzionale nel 2009 ha abolito il divieto di produrre più di tre embrioni, l’obbligo di impiantare insieme tutti quelli prodotti, e il diniego alla crioconservazione anche davanti a rischi per la salute della donna. Nel 2014 invece è caduto il no all’eterologa.

La causa proposta ieri alla Consulta nasce dal ricorso di due coppie portatrici di gravi malattie genetiche trasmissibili incompatibili con la vita. Entrambe le coppie hanno dovuto subire aborti che avrebbero potuto essere evitato potendo accedere alla diagnosi preimpianto. In uno dei due casi, la donna, che è al di sotto dei 30 anni ed è quindi nel pieno dell’età fertile, ha subito cinque aborti di cui quattro spontanei.

«Queste coppie non hanno il requisito dell’infertilità e non possono avere accesso alla Pma – ha spiegato l’avvocata Gallo davanti alla Consulta – Ma la diagnosi preimpianto è ormai assimilabile a tutti gli esami prenatali, come le ecografie, le villocentesi o le amniocentesi».

Attesa per oggi la sentenza della Corte su quella che la segretaria dell’Associazione Coscioni ha definito «una irragionevole e sproporzionata soppressione di un diritto soggettivo».