Sperimentazione animale, come funziona in Italia

Wired
Alice Pace

Topi, ratti, criceti, conigli. Ma anche cani, gatti, maiali e svariati tipi di scimmie. Questi gli animali che fungono da cavie per testare i farmaci, i vaccini e per mettere a punto gli interventi chirurgici prima che vi ci sottoponiamo noi esseri umani. Grazie agli enormi progressi che l’impiego di queste specie ha consentito nel campo della biomedicina, le nostre aspettative di vita sono aumentate rispetto a mezzo secolo fa di quasi trent’anni.

È giusto sacrificare gli animali allo scopo di migliorare la salute degli esseri umani?

Ecco il cuore di un dibattito estremamente complesso che, purtroppo, in Italia rischia spesso di accendere toni irrazionali quando non addirittura violenti. L’ultimo caso è quello di Caterina Simonsen, una giovane studentessa di veterinaria che, colpita all’età di nove anni da un complesso di malattie genetiche degenerative, ha dichiarato in Rete di essere a favore dell’impiego di cavie da laboratorio laddove gli scienziati non abbiano alternative. “Io, Caterina S. ho 25 anni grazie alla vera ricerca, che include la sperimentazione animale. Senza la ricerca sarei morta a 9 anni. Mi avete regalato un futuro”, il suo cavallo di battaglia. Che le è costato nei giorni scorsi una marea di insulti da parte di estremisti animalisti, qualche decina di auguri di morte sui social network e, solo ieri, anche le accuse da parte del Partito animalista europeo di essere manipolata dagli interessi di Big Pharma.

Ma come funziona l’impiego degli animali-cavia nel nostro Paese? E come si stanno evolvendo le normative vigenti?

In Italia, a partire dal 1992, le regole sulla sperimentazione animale sono più severe rispetto al livello comunitario, allo scopo di proteggere le cavie da procedure eccessivamente dolorose e debilitanti e condurre gli esperimenti sugli animali solo quando strettamente necessario. Il Decreto legislativo 116/92 prevede infatti che tutti i progetti di ricerca con impiego di vertebrati siano resi noti al ministero della Salute e dimostrino che per quel progetto non vi sono alternative all’uso degli animali, ma anche che le procedure sperimentali scelte saranno quelle che causano meno sofferenza possibile all’animale.

Nei test si cerca di favorire l’impiego di animali con minor sviluppo neurologico (un moscerino o un verme saranno preferibili rispetto, per esempio, a un cane o una scimmia), ed è vietato l’uso di animali randagi in laboratorio. Non si possono condurre esperimenti senza anestesia e la vivisezione, cioè la dissezione di animali vivi, non è più praticata.

Inoltre, contrariamente a quanto a volte si pensi, la sperimentazione animale per i prodotti cosmetici, così come per i loro ingredienti, è ormai vietata in tutta Europa.

A questo quadro normativo si è affiancata nel novembre 2010 ladirettiva europea 2010/63, frutto di lavori e dibattiti durati quasi dieci anni, che ha la funzione di guidare omogeneamente i Paesi membri verso la sostituzione completa degli animali impiegati a scopi scientifici. E che perciò promuove lo sviluppo e la convalida di metodi alternativi, come le simulazioni al computer o i test su cellule.

Il principio guida della direttiva, e la direzione dei nuovi investimenti, è quello cosiddetto delle 3R“Replacement, Reduction and Refinement”, cioè “sostituzione, riduzione e perfezionamento” nell’uso degli animali negli esperimenti scientifici. Si tratta di un approccio che intende, come dice il nome, rimpiazzare le cavie con metodi che non prevedano il loro impiego, elaborare strategie per limitare il numero di animali impiegati nella ricerca e rendere più sofisticate le tecniche di sperimentazione per cui gli animali sono ancora necessari. Perché sì, anche se grazie all’avanzamento tecnologico  saremo sempre più in grado di ridurne il numero, la ricerca in vitro e gli studi al computer presentano ancora molti limiti, e molte informazioni si possono ottenere a oggi soltanto dagli studi in vivo su organismi animali. Con l’aggiunta che, proprio per validare i nuovi metodi e poter affermare che predicono i risultati sugli esseri viventi, è necessario poter comparare i dati a quelli ottenuti sugli animali stessi.

Mentre però Gran Bretagna, Francia, Belgio, Spagna, così come la maggior parte degli altri Paesi europei, hanno recepito la direttiva senza modifiche, l’Italia si è distinta nella violazione di uno degli articoli, con l’introduzione di norme ancor più restrittive che vieterebbero, una volta diventate legge, di proseguire su diversi fronti della ricerca farmacologica e biomedica. In primis, diventerebbe illegale utilizzare gli animali per gli xenotrapianti, cioè i trapianti di cellule o organi da una specie all’altra, fino a oggi fondamentali per la ricerca sugli organi artificiali e per la lotta contro i tumori. Ma sarebbero bloccati anche gli studi sulle sostanze da abuso, che ci consentono di conoscere gli effetti delle droghe in circolazione e provare a intervenire sulle tossicodipendenze. E non solo. Tra gli emendamenti vi è anche quello sul divieto di allevare cani, gatti e primati destinati alla sperimentazione sul territorio nazionale, il che significherebbe dover importare tali animali dall’estero o addirittura smettere completamente di impiegarli.

Di fatto, proprio ora che l’intera comunità europea è stata permeata da un’ondata di sensibilizzazione verso gli animali e che il dibattito etico è evoluto verso l’apertura a nuove pratiche più attente e comprensive di controlli e precauzioni, il nostro Paese ha deciso di esporsi al rischio di perdere per sempre la possibilità di partecipare a programmi di sviluppo di numerose terapie d’avanguardia. Voltando di fatto le spalle a migliaia di malati in attesa di cure, e scatenando la preoccupazione della stragrande maggioranza degli scienziati italiani.

Per sapere come andrà a finire c’è da aspettare il prossimo 13 gennaio, giorno entro il quale la commissione Sanità e Affari Sociali esprimeranno il loro parere in merito e consentiranno al Governo di recepire o meno le modifiche della direttiva europea effettuate dal Parlamento, che potrebbero entrare in vigore dal 1 gennaio 2017.