“Sulle staminali c’è chi approfitta della disperazione delle famiglie”

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La Stampa
Valentina Arcovio

Il Centro di medicina rigenerativa  «Stefano Ferrari»  dell’Università di  Modena e Reggio Emilia  è stato definito dalla senatrice  a vita Elena Cattaneo  «un faro mondiale della ricerca  sulle staminali». Un centro  d’eccellenza, dove la ricerca di  base si incontra e si intreccia  con quella applicata, sotto la  guida del professore Michele  De Luca, che, con la sua principale  collaboratrice Graziella  Pellegrini, ha collezionato due  primati mondiali: la creazione  di un protocollo per la coltura  di cellule staminali per la cura  di lesioni alla superficie della  cornea e la messa a punto di  una terapia genica che si è rivelata  efficace contro l’Epidermolisi  Bollosa, una malattia  rara che provoca il distacco  della pelle. Grazie al primo lavoro  sono stati curati oltre  300 pazienti, mentre con la terapia  genica è in atto una sperimentazione  clinica di fase   1/2 grazie alla quale è stato  possibile curare le gambe di  un uomo. Mentre ora, sono in  fase preclinica le ricerche sulla  ricostruzione dell’uretra e  della mucosa orale.  Professore, le staminali sono  una panacea di tutti i mali?  «Assolutamente no. Anche se  negli ultimi tempi, purtroppo,  molte persone hanno iniziato  a crederci. Vorrei anch’io che  fosse così, ma la ricerca sulle  staminali ha ancora bisogno  di molto tempo prima di rivelarsi  utile».  Ma che hanno di tanto speciale  queste cellule?  «Le staminali sono cellule  che consentono di mantenere,  generare e rigenerare il  tessuto in cui si sono specializzate.  Quelle ematopoietiche,  cioè quelle del sangue,  permettono la generazione e  rigenerazione di globuli rossi,  piastrine, ecc. Quelle della pelle permettono la rigenerazione  dell’epidermide, del pelo,  della ghiandola sebacea, e  così via. Invece, le uniche staminali  in grado di specializzarsi  in tutti i tessuti sono le  embrionali o le staminali pluripotenti  indotte (iPS), cioè   cellule staminali adulte riprogrammate  e pronte a specializzarsi  in altri tessuti».  Grazie a queste cellule quali  terapie abbiamo oggi?  «Le uniche staminali che  hanno dimostrato di avere  una reale efficacia in un contesto  clinico sono quelle  ematopoietiche e quelle epiteliali.  Le prime usate nel  trattamento di patologie  quali la leucemia, le seconda  per la terapia di gravi ustioni.  Per il resto si tratta di un  campo di studi ancora aperto  su cui non si hanno certezze.  Per alcune staminali, come le  embrionali e le iPS sono iniziate  le prime sperimentazioni  cliniche».  Le staminali mesenchimali,  quelle che userebbe Stamina,  sono promettenti?  «Le cellule mesenchimali servono  a generare tre tessuti:  cartilagine, osso e grasso. Non  neuroni. Sulle mesenchimali ci  sono diverse sperimentazioni  in corso, che al momento non  hanno prodotto alcun risultato  clinicamente rilevante. Nella  maggior parte dei casi non si  hanno neanche notizie dell`esito  di questi studi».  Eppure, moltissime famiglie  sono convinte della bontà delle  mesenchimali trattate con il  metodo Stamina?  «Nel mondo, e purtroppo anche  in Italia, vengono proposti  ciclicamente presunti trattamenti miracolosi per malattie  gravi, privi di razionale e assolutamente  senza alcuna efficacia.  Basta pensare al caso di Di  Bella. Questa volta ,è il turno di  Stamina, un presunto metodo  a base di staminali che non ha  dimostrato di avere alcuna valenza  scientifica e terapeutica.  Ci si sta approfittando della  disperazione delle famiglie  dei malati gravi, infischiandosene  dei limiti e delle regole  della scienza».  Quali step bisogna superare  prima che una terapia a base di  staminali arrivi in clinica?  «Prima di tutto si fa una ricerca  di base solida. Dopo la pubblicazione  dei risultati, si raccolgono  evidenze precliniche con  studi sugli animali. E solo dopo  si passa alla sperimentazione  sull`uomo, che prevede tre fasi  ben distinte, e i cui risultati  vanno resi pubblici. Praticamente  tutto quello che Stamina  non ha fatto».  Tutto questo non rischia di rallentare  lo sviluppo di nuove terapie?  «Sì, certo, ma sono step e regole  indispensabili per dimostrare  la sicurezza e l`efficacia di  una nuova terapia e per garantire  ai pazienti che il nuovo  trattamento proposto non è semplice alchimia».  Perché le staminali coltivate  sono considerate alla stregua  di farmaci e non di trapianti?  «Perché la regolamentazione  sui farmaci è molto più severa,   come è giusto che sia. Quando  coltiviamo le cellule usiamo  cocktail di fattori di crescita e  ormoni. E` un processo molto  complesso che ha bisogno di  maggiori garanzie, addirittura  più di un normale farmaco. Per   questo in tutti i paesi sviluppati  ci sono regole di tipo “farmaceutico”,  che dovrebbero essere ulteriormente  adattate alle peculiarità  delle colture cellulari. E`  certamente vero che alcune regole  del farmaco classico potrebbero essere semplificate,  soprattutto quando si parla di  colture cellulari autologhe, ma  sui razionali e le evidenze precliniche  ci vorrebbe più severità,  proprio perché le cellule sono  entità più complesse».