«Nelle infusioni non ci sono staminali» Il Senato avvia un’indagine conoscitiva

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Corriere.it
Laura Cuppini

«Nelle infusioni non c’è traccia di cellule staminali». La polemica sul caso Stamina si fa sempre più infuocata. Un articolo pubblicato su La Stampa cita «i verbali dei Nas e il parere del comitato di esperti del Ministero, dai quali emerge anche il rischio di trasmissione di malattie infettive, dall’Hiv al morbo della mucca pazza». Come noto, la relazione del comitato ministeriale non è mai stata resa nota integralmente e i verbali dei carabinieri del Nas (del 2012) confermano quanto espresso dall’Agenzia Italiana del Farmaco nella relazione pubblicata dopo l’ispezione agli Spedali Civili di Brescia.

INDAGINE DEL SENATO – La vicenda approda anche in Senato, dove il presidente Pietro Grasso ha dato il via libera alla Commissione Igiene e Sanità a procedere con un’indagine conoscitiva sul caso Stamina. La commissione chiederà di acquisire «tutta la documentazione possibile, compresi gli articoli di giornale di questi giorni. E chiederemo ufficialmente di poter acquisire anche il lavoro del comitato che ha bocciato il metodo, perché il vincolo di segretezza, pensiamo, è sul protocollo, non sul lavoro del comitato» spiega la presidenteEmilia De Biasi. La commissione avvierà «subito a gennaio, come priorità» (probabilmente il 7 gennaio) l’indagine «Origini e sviluppo del caso Stamina». Non sarà, chiarisce, «una indagine a carattere esclusivamente scientifico ma ad ampio spettro, toccherà le tappe storiche della vicenda e affronterà anche il ruolo dei media». Così come sarà «doveroso sentire le famiglie», sia quelle che chiedono di poter accedere al metodo sia quelle che «denunciano di essere state ingannate».

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LORENZIN: «NON POSSO PARLARE» – «Bisogna dare una risposta definitiva in tempi brevi ai malati su questa vicenda che, ormai, ha assunto profili giudiziari inquietanti – ha commentato il ministro della Salute Beatrice Lorenzin -. Io non posso parlare del metodo Stamina perché sono tenuta a un vincolo di riservatezza. Il nuovo comitato scientifico dovrà valutare la scientificità e la sicurezza del metodo, come quello precedente». In attesa della nomina del nuovo team di esperti che dovrà valutare la possibilità di avviare una sperimentazione,il governo ha deciso di non presentare ricorso contro l’ordinanza del Tar del Lazio che ha sospeso il parere negativo del pool di esperti.

LE DICHIARAZIONI – Nel metodo, afferma il comitato scientifico secondo quanto riportato dal quotidiano torinese, «la popolazione cellulare che si ottiene non è purificata, non è omogenea, non è una popolazione di cellule staminali». Inoltre, non c’è nulla che dimostri la trasformazione delle cellule del midollo osseo in cellule neuronali con finalità terapeutiche. I documenti «da un lato confermano quanto già trapelato, come il rischio di trasmissione di malattie infettive per assenza di controlli delle cellule del donatore, ma dall’altro rivelano altri rischi per i pazienti, come quello della Bse (encefalopatia spongiforme bovina, o morbo della mucca pazza, ndr)». Nel protocollo Stamina verrebbe utilizzato siero bovino per la coltura delle cellule: ciò non è vietato purché il siero provenga da animali di Paesi privi di Bse. Secondo il comitato scientifico, «nessuna di queste informazioni è presente nei documenti pervenuti».

LA DENUNCIA DEL RICERCATORE – L’assenza di staminali valide nelle infusioni era stata peraltro già denunciata da Massimo Dominici, responsabile del Laboratorio di Biologia cellulare dell’Università di Modena e Reggio Emilia, uno dei due ricercatori che hanno analizzato il materiale sequestrato dai Nas. «Mi sono ritrovato tra le mani non qualcosa che evolva in senso neuronale, come si sperava, ma di fronte a cellule con un’irrilevante attività biologica ai fini della rigenerazione nervosa – spiega Dominici in un’intervista alCorriere della Sera pubblicata il 31 marzo 2013 -. Attività che peraltro scompariva in 24 ore. Insomma, in vitro, di neuroni non si vedeva traccia. Per di più il quantitativo di cellule staminali usate nei campioni era minimale rispetto agli standard». «In tutte le terapie con staminali, stando a lavori scientifici pubblicati in letteratura – prosegue Dominici nell’intervista -, si utilizzano per ogni somministrazione preparati con almeno un milione di staminali per ogni chilo di peso, quindi in un adulto si va oltre 7o milioni di cellule. Qui le staminali erano 200mila. In pratica una dose omeopatica. Certo, si dirà che questa dose può essere sufficiente, ma non vi sono dati scientifici prodotti da Stamina in proposito».

LA REPLICA DI VANNONI – «Siamo al ridicolo: il protocollo Stamina si basa sull’utilizzo di cellule staminali molto pure – è la replica di Davide Vannoni, presidente di Stamina, alle dichiarazioni riportate su La Stampa -. La conferma è contenuta nelle cartelle biologiche di ogni paziente». Vannoni sostiene che il comitato scientifico «non ha fatto alcuna valutazione della quantità di cellule staminali presenti nelle infusioni, avendo solo valutato il metodo sulla carta». E sulla qualità delle cellule dice: «Questi presunti esperti non hanno trovato una proteina, il Cd105, che dovrebbe indicare la presenza di cellule staminali mesenchimali. Secondo molti scienziati la proteina indica solo che le staminali sono indirizzate a diventare osso. Ma noi non vogliamo che questo accada, noi le trasformiamo in neuroni, per questo la proteina non c’è». Vannoni attacca anche il rapporto dei carabinieri del Nas: «Sono stati già sbugiardati dalla stessa Regione Lombardia, che ha definito illegittima la visita ispettiva. Quel rapporto è stato smentito da una sentenza del Tar». Marino Andolina, pediatra-immunologo e fino al 2011 direttore del Dipartimento trapianti dell’ospedale Burlo Garofalo di Trieste nonché collaboratore di Vannoni aggiunge: «Mi attendo che la Regione Friuli Venezia Giulia voti una legge che dichiari l’opportunità morale di concedere ai nostri pazienti cure non rimandabili».

«INTERESSI INTERNAZIONALI» – Durissimo il commento della senatrice Elena Cattaneo, direttrice del Laboratorio di cellule staminali dell’Università di Milano, secondo cui dietro la vicenda Stamina ci sono solo «ciclopici interessi internazionali» che progressivamente potrebbero portare al fallimento del nostro Servizio Sanitario Nazionale. «Abbiamo sempre detto – spiega – che le preparazioni Stamina contengono solo detriti cellulari, per giunta pericolosi, come succede sempre quando si inietta qualcosa di inutile. Nessuna scienza, nessuna medicina, solo incompetenza, spregiudicatezza, inganni, con cui si intrecciano ciclopici interessi internazionali che puntano a usare Stamina come testa di ponte, cercando anche di screditare gli scienziati italiani che si oppongono a questo scempio, per poi sostituire Stamina con altri preparati magari meglio prodotti ma egualmente inutili. E far sì che questi entrino negli ospedali italiani e ottengano il rimborso del Ssn, impiantando cose in pazienti prima del tempo, prima delle prove, senza un briciolo di razionale ma facendo un gran business ai danni del Ssn e dei malati. Il rischio – ha aggiunto – è che Stamina e surrogati simili portino al fallimento del nostro Servizio sanitario nazionale».

DALLAPICCOLA: «NON SONO STUPITO» – Duro il commento di Bruno Dallapiccola, genetista ed esponente del primo comitato incaricato di valutare il «metodo»: «Nutro parecchi dubbi e non so come il comitato etico degli Spedali Civili di Brescia abbia potuto autorizzare, a suo tempo, la sperimentazione con il metodo Stamina. Mi chiedo cosa avessero in mano per prendere questa decisione, perché anche con le cure compassionevoli non si può prescindere da un fondo di scientificità». Dallapiccola non è sorpreso dalle notizie dell‘assenza di staminali nelle infusioni e del rischio di contaminazione: «Ne ero già venuto a conoscenza un anno fa, dopo il sopralluogo dell’Aifa a Brescia – spiega -. Sapevamo che qualcosa non funzionava, che c’erano delle contaminazioni. Nella nostra commissione non siamo entrati nel merito delle cose fatte a Brescia, ma avevamo il compito di valutare il protocollo, vedere se funzionava, su quali malattie potesse essere usato e su quali malati usarlo. Una cosa si può dire – continua Dallapiccola – e cioè che in questo metodo non c’è scientificità né originalità, ma vi sono invece dei problemi di sicurezza. Tutti i nodi stanno emergendo e verranno al pettine».

DE LUCA: «BLOCCARE TRATTAMENTI» – Per Michele De Luca, direttore del Centro di medicina rigenerativa «Stefano Ferrari» dell’Università di Modena e Reggio Emilia, vanno immediatamente bloccati i trattamenti in atto con il metodo Stamina per tutelare i pazienti e va messa la parola fine all’ipotesi della sperimentazione. Quanto pubblicato, rileva, «non fa che ribadire ciò che noi scienziati ripetiamo da mesi: non solo non esiste un metodo Stamina in grado di differenziare le staminali mesenchimali in neuroni, ma la sua somministrazione rappresenta un reale pericolo per i pazienti, che oltre a non trarne alcun beneficio rischiano di contrarre malattie molto gravi. Quello che emerge – ha concluso – è che è più che mai necessario un intervento legislativo che regolamenti in modo inequivocabile le terapie avanzate a base di colture di cellule staminali, le terapie consolidate e l’uso compassionevole di terapie non ripetitive, affinché nessun giudice, scientificamente non preparato, possa trovare cavilli legislativi per imporre la somministrazione ai pazienti di cure non solo non efficaci ma anche e soprattutto pericolose».

«DA SEGRETO COMMERCIALE A SEGRETO DI STATO» – Paolo Bianco, dell’università Sapienza di Roma, uno dei massimi esperti internazionali di staminali mesenchimali, giudica «incomprensibile» il silenzio del ministro della Salute Beatrice Lorenzin sul caso Stamina, un silenzio, afferma, che «sta trasformando un segreto commerciale indebito in un segreto di Stato». «Non c’è alcuna ragione al mondo per mantenere il segreto su temi così urgenti per l’interesse pubblico e per quello dei malati» dice Bianco. Alla luce di quanto emerge dai documenti dei Nas e della commissione di esperti, «ai fini della chiarezza alla quale il ministro ha fatto appello in questi giorni l’unica cosa da fare è dire come stanno le cose» conclude.

«NON ABBIAMO FATTO ANALISI CHIMICHE» – «Avremmo voluto avere accesso ai dati dei pazienti in trattamento a Brescia con il metodo Stamina, ma ci è stato detto che non era questo il compito del comitato scientifico». Lo afferma Maurizio Scarpa, pediatra all’Università di Bologna e membro del comitato di esperti. «Come comitato – spiega Scarpa, in riferimento ai dati dei verbali dei Nas – non abbiamo potuto effettuare alcun tipo di test e non era nostro compito analizzare i dati raccolti dagli Spedali Civili di Brescia, non abbiamo avuto accesso né ai dati di Brescia né dei Nas». Infatti, precisa, «il nostro compito era analizzare la scientificità e la sicurezza del protocollo cartaceo presentato da Vannoni, identificare i possibili siti di produzione delle linee cellulari e le malattie sulle quali applicare il protocollo stesso. Non abbiamo dunque fatto alcuna analisi chimica del prodotto, né dato valutazioni circa la presenza o meno di cellule staminali in esso». Il comitato, ha quindi sottolineato Scarpa, «ha lavorato in scienza e coscienza: la conclusione cui siamo giunti è che il protocollo presentato non ha elementi di sicurezza tali da poter dire che sia senza pericoli per i pazienti, e che non ci sono elementi che dimostrino la differenziazione delle cellule in cellule neurologiche».

«FARE CHIAREZZA» – La Federazione Italiana Malattie Rare Onlus, che rappresenta oltre 100 associazioni di pazienti, chiede chiarezza sul metodo Stamina: «Riteniamo un obbligo etico e un preciso dovere sociale fornire completa conoscenza sui dispositivi di validazione scientifica di un metodo che suscita tante speranze, e allo stesso tempo sulla qualità dell’informazione e sulla sicurezza dei pazienti coinvolti in sperimentazioni di frontiera».

«PAGATI 40MILA EURO» – Oltre al dibattito sulla validità del «metodo», prosegue il filone giudiziario. Sempre La Stampacita il caso di una famiglia che si è rivolta al procuratore di Torino Raffaele Guariniello denunciando Davide Vannoni per truffa. Si tratta dei genitori di una 11enne affetta da «paralisi cerebrale infantile»: dal 2009 sperano nel «miracolo», cioè che la figlia si alzi dalla carrozzina, come avrebbe promesso loro Vannoni: «Ci mostrò un filmato dove si vedeva un uomo in carrozzina, poi lo stesso uomo che corre e cammina». La coppia avrebbe pagato 40mila euro, «in due tranche: una da 27mila e un’altra da 9. Infine 4mila per pagare gli avvocati per il ricorso per ottenere il riconoscimento dell’assistenza sanitaria». La ragazzina, dopo aver iniziato la cura con il metodo Stamina, avrebbe accusato dei malesseri e a questo punto, sempre secondo il racconto della coppia, sarebbe arrivato il suggerimento di «non rivelare all’ospedale di Torino le punture eseguite a Trieste dal dottor Marino Andolina» (già collaboratore di Vannoni).

LE IPOTESI DI REATO – L’indagine su Stamina è stata avviata da Guariniello nel 2009 , dopo un’inchiesta giornalistica del Corriere della Sera. Nell’agosto 2012 la Procura ha disposto il rinvio a giudizio di 12 persone, tra cui alcuni medici, lo stesso Vannoni e Andolina. Le ipotesi di reato: somministrazione di farmaci imperfetti e pericolosi per la salute pubblica, truffa e associazione a delinquere.