Alla scienza serve l’informazione

La Stampa
Giovanni Bignami

E’ stato breve l’intervento del Presidente Napolitano, ma come sempre ha detto tutto e nelle giuste proporzioni. Parlava ieri a Palazzo Madama ad un mix di ministri, senatori, giornalisti e ricercatori, convocati con stile ed entusiasmo dalla senatrice Elena Cattaneo. E possibile, si è chiesto Napolitano centrando il tema del convegno, creare il «Senato della conoscenza»? Cioè dargli una funzione, simile a quella della House of Lords inglese, di cerniera tra la conoscenza e la deliberazione? La risposta è positiva: una riqualificazione del Senato in questo senso prenderebbe due piccioni con una fava. Aiuterebbe a far decollare la riforma istituzionale del Senato e, al tempo stesso, lancerebbe un ponte tra scienza e politica, oggi ancora largamente accampate su rive lontane. Ma non basta: se è vero che una significativa percentuale (24%, la più alta d’Europa) di italiani pensa che la Terra ci metta un mese a fare un giro intorno al Sole (parlo a quell’uno su quattro che per caso leggesse «La Stampa»: non è vero, ci mette un anno…), allora quel ponte può stare in piedi solo se è sostenuto da un robusto pilone centrale che si chiama informazione. Nel nostro caso, è di quella che noi scienziati chiamiamo comunicazione della scienza, cioè il parlare del nostro mestiere a quelli che ci pagano per farlo. Che sono, per intenderci, la specie ormai rara ed in via di estinzione dei taxpayers. Su questo argomento, registriamo con grande gioia la rinnovata attenzione della Rai, esplicitata dalla presidente Tarantola in un suo recente, memorabile discorso alla Accademia dei Lincei. Forse non per caso ieri sera, in contemporanea con la cerimonia del Nobel per la fisica, Rai-scuola (canale 146 digitale terrestre) ha fatto partire la serie in otto puntate «Il mistero delle sette sfere», copro-dotto da Rai Educational e dall’Istituto Nazionale di Astrofisica, dove si racconta la storia di quello che spinge l’homo sapiens ad esplorare e ricercare, sopra, sotto, dentro e fuori della Terra fino alle stelle più vicine, con i loro pianeti. E’ un altro, piccolo contributo per comunicare e interessare alla scienza il grande pubblico, in primis i giovani, un tentativo fatto cercando di ispirarsi a giganti come Piero Angela e Sir David Attenborough. Il presidente Napolitano parla spesso di ricerca in occasioni pubbliche. Un discorso veramente da giro di boa lo fece, tra gli altri, circa un anno fa al teatro Eliseo di Roma. In piena spending review, erano allora in corso manovre, un po’ opache, per depotenziare gli Enti di Ricerca, forse cose immaginando di risparmiare qualche briciola. Lo ricordo ancora (ma esiste anche un bellissimo video) quando, col dito indice alzato, si scagliò contro «quell’oscuro estensore di norme…» che, secondo lui, minacciava la fragilissima ricerca italiana. Un anno dopo, non corriamo più simili rischi normativi, per fortuna, ma non andiamo molto meglio per quanto riguarda la sostanza. Però abbiamo nuove idee e immutato entusiasmo. Alcune nuove idee riguardano l’Europa, il suo ruolo verso di noi ed il nostro posto nello spazio europeo della ricerca. L’Unione Europea, ricordiamolo, per il programma Horizon 2020 dedica alla ricerca una cifra molto consistente: circa 80 miliardi di euro. Non sono pochi, e rappresentano un gesto di coraggio del Parlamento Europeo e che noi per primi, ricercatori italiani, dobbiamo saper sfruttare e valorizzare. Ci stiamo già provando: in questi giorni al Miur parte la costruzione del Programma nazionale della Ricerca, ad Horizon 2020 ispirato, ma speriamo poi scritto con le nostre particolari esigenze. Ricordiamo però che in Europa succederebbe come in Italia se mandassimo al ballottaggio, con qualunque sistema elettorale, il sistema tolemaico contro quello galileiano. Con il nostro amore per la politica da bar, il primo vincerebbe alla grande: non è h da vedere il Sole che si muove in cielo? Si, forse è dalla comunicazione della scienza che si deve cominciare, in Italia come in Europa